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Pubblicata il 23/07/2019
Le chiusi gli occhi
tirando giù la gonna
quel tanto che bastava
per coprirle le ginocchia.
Le sussurrai: "ciao oscurità,
mia vecchia amica,
sono qui per restituirti
quei semi di marmo
che dimenticasti
nella mia bocca".
Poi le calzai le babbucce nere
nel ricordo dei tremori
che l'assalivano d'inverno.

All'ultimo tocco
degli undici che seguirono
deposi l'umido fuori dalla porta
incosciente e consapevole
di non ricevere più nessun salario,
ancora ignaro di aver bevuto
una vita intera
in una pozzanghera di fiori,
nel calice di calle
annerite dai calabroni.

Forse molti hanno una valigetta
che non vorrebbero mai aprire.
Alcuni sopportarono
il suo peso greve sulle spalle
dopo il lavoro delle idrovore
sui fianchi scoscesi
del Canale di Suez.
Io l'aprirò, prima o poi,
semplicemente in un tocco
sul letto di un fiume.
Nato nelle sue vicinanze,
mi essiccherò nei campi vicini.

Per i girasoli ho solo
un unico rimprovero
che non conserva
il sapore del rancore:
"se avevate da sempre
bisogno di me, solerti
avreste dovuto orientarmi
in un giorno di canicola
temperata dal vento.
Sarebbe bastato un fischio
trattenuto tra le foglie".
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Di recente, sono entrato in una chiesa della mia città per la prima volta (era sempre chiusa): Un recente restauro ha svelato una cripta sotterranea del 1726 (data posta su una croce all’ingresso della cripta) celata sotto il pavimento, dove avveniva l’antica tecnica dell’inumazione dei cadaveri, in uso fino all’entrata in vigore delle leggi napoleoniche che – con l’istituzione dei cimiteri pubblici – proibirono definitivamente le sepolture all’interno dei centri abitati. Gli uomini senza vita erano deposti sui colatoi per favorirne l’essiccazione. Il verso: "mi essiccherò nei campi vicini" mi ha ricollegato a questa particolare e coinvolgente visita.

il 24/07/2019 alle 09:17

Sì, i colatoi, e tutto avveniva per caduta.

il 24/07/2019 alle 10:07