Aveva occhi chiari
inconsueti
per questa latitudine di mondo
quasi gusci di marinella
e capelli spiga d'oro
come harvest d'Alabama.
Quando il garofano turchino
s'allentò sulla chiostra d'avorio
un fazzoletto le sciolse i fianchi
e sul ritmo d'una pizzica
irridente e violenta
ora eccola che balla,
canta, sprizza, macina lenta,
nutre serpi nella stalla,
sfreccia, sguizza, piange, incanta,
con il fuoco che la schianta.
Poi, d'improvviso,
scarrucola nel lento
esalando in flebil suono
uno stridulo lamento.
Ma ancor non è bastante
e s'avvinghia al pavimento,
spinge forte, i fianchi inarca,
poi si scioglie
infine stanca,
in un placido essudamento.
Attendemmo
nel sereno della notte
il ritorno delle sue sclere
e non sbirciammo
nei segreti delle sottane.
La mattina seguente, increduli,
perdemmo uno Sherman
che danzava nei fossati
incurante delle fiere,
un Tigre acquattato
si era girato di fianco
con un colpo di coda.
Recuperammo
solo lische evaporate
sui sedili arroventati
e occhi bianchi
ancora immersi
dentro gusci di marinella.
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