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Pubblicata il 03/07/2019
In una sera prossima al tepore
mi saldò l'affitto
di quello che definiva
il suo corpo idiota
ma oramai era solo l'avanzo
di un paltò zigrinato
giallo di nicotina,
di un pantalone sgualcito,
senza piega,
ed l'esito di un paio di scarpe
bucate nel lento scorrere
a strascico sui tacchi.

In quel tempo di mezzo
si godette per brevi istanti
l'essenza delle araucarie
e l'intensità delle ortensie,
oltre alla luce tagliente
che solo il mattino sa donare
sui ballatoi in bilico.

Dentro ed oltre la finestra
la consapevolezza
che nulla appartiene
e tutto è estraneo,
anche gli strilli di cuoio
di palloni calciati
a forza nell'angolo.
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Dalle araucarie posso già collocare il contesto nell'emisfero meridionale, probabilmente in Cile. Poi, dovrò leggere e rileggere, per carpirne gli odori e i sapori.

il 03/07/2019 alle 13:19

La prima strofa ti "denuncia" amante del grande Faber: "Quando scadrà l'affitto / di questo corpo idiota / allora avrò il mio premio / come una buona nota…" (da IL CANTICO DEI DROGATI). Poesia impegnativa.

il 04/07/2019 alle 00:18