Credevo, inutilmente, di appartenerti.
Tu eri l'elegante e sinuoso ramo,
io la piccola gemma che sorge in primavera.
Eri la pioggia che placida cadeva dal cielo bruno
e io aspettavo con trepidazione
che una tua goccia mi accarezzasse il volto.
Nei tuoi vedevo nascere l'aureo sole in una danza di luci,
e allo stesso tempo lo vedevo tramontare
in un incendio dagli arcani colori.
Ma un gelido vento è giunto e ha soffocato quelle luci.
Non posso credere che te ne sia andata,
che non ti vedrò più vagare
tra questi irsuti alberi dalle fronde smeraldine,
che non odirò più la tua voce incantata.
Io non voglio credere.
E tra sconforto e desolazione resterò qui
con il gelido coltello del dolore piantato nel cuore,
attendendo una frase sussurrata,
una parola appena accennata,
per non morire senza risposta.