Sono me stesso sul solo apice del mondo
poiché l’essenza mia è vapore d’anima
s’innalza come bruma verso il cielo,
e azzurra nell’azzurro si confonde.
Lambisce vette, nuvole e aria aperta
oltre la scia dell’aquila, la coda delle stelle,
e inesorabilmente si disperde.
Giù in basso c’è la carne, sulla terra,
legata da trame d’ossa e rivoli di sangue,
fragile nei nobili pensieri e in disperata lotta
con le pene, disciolte in mille rivoli di pianto.
Vagheggia corrotta, al cielo che non muore,
la sua salvezza nel mare secco siderale e ignora,
in esso, lo sterile stagnare del freddo ostile
tra il vitreo moto d’astri in orbite perfette,
vuoto d’inizi, privo del sogno d’una meta
ove ogni ora è scrigno d’un infinito monotono ed uguale.
Nella palude, dove la chiavica schiarisce nel ruscello,
s’accendono passioni come vampate di pece greca
nel caos della gioia e del dolore, dell’odio e dell’amore,
col fiore a unire luce all’humus del letame.
Nella palude, dove la sola morte è certa,
arde aggrappata al vento l’essenza mia più schietta.