Ricordo il volto amato di mia Madre
cercato tra le stanze rassettate
nel buio, sopraggiunto, della sera
e la sua voce limpida al mattino
il giorno del mercato.
La piazza sotto gli archi, destata dalla folla
di madri, zie, cugine e ambulanti
ed io appeso alla sua mano
e tutto a me pareva un gioco tra titani
l’arcano chiacchiericcio, i passi affrettati,
poi le domande, lo sguardo ficcanaso
e frutta, e stoffe, e polli ancora vivi, mezzi spiumati
i pianti disperati per i pulcini colorati,
e pesci rossi appesi nei sacchetti,
e voci, e odori, inviti ammiccanti, prezzi gridati,
caramelle colorate, ghirlande sui banconi,
arcobaleni variopinti di mercato, risate crasse
e pizza profumata stretta nella mano.
Nel mezzo la fontana impenitente
che gli anni gorgogliò incessante.
La piccola Città della mia infanzia
chiusa com’era tra le pietre antiche
grigia come i possenti monti attorno,
pietra preziosa incastonata sopra al colle,
vivida ancora tra i quartieri grandi e ignoti.
S’alzava il campanile sopra i coppi chiari
fiero e appartato, appena sotto il bianco delle nubi.
È uguale, seppur nel mondo ormai cambiato,
e il Corso lastricato da mille colpi di scalpello
vibra caparbio come allora nella ruota e il campanello.
Città d’Ovidio che la scrisse sua
ora di bronzo sta nella piazza
sembra in ascolto del ticchettio di voci,
che come pioggia lascia il segno,
dentro un ricordo, lungo il selciato,
nell’ora consacrata dallo “struscio”.
Sulmona è la città e chi l’ha vista,
com’io l’ho amata, fiera e sincera
la porterà con sé. Seme nel cuore.