ossa che non scintillano,
tesi a strappare il nulla
colmi di pietà e inerzia;
quale peggior tragedia
di sentire vibrare l’eco
dentro le proprie corde?
occhi che non disegnano
corpi che non rispondono
uno col ventre a terra
e l’altro verso il soffitto,
il dialogo muto del pesce
dritto verso il cemento.
aliti ed ansimi andati
tra le radici della prigione
sterili sensi unisono
immobili senza perdono
giudicano l’accusato
e non assolvono chi l’ha causato
silenzi di colpa annodano
sciami di perdoni inetti,
bave di rituali inutili
ridotti a macerare tedio
come tappi al sughero
prematuramente spinti
osceni oltre il collo
della bottiglia.
ossa che non scintillano
e noi ad appassire piano,
sento tremare il vuoto
e non voglio nemmeno morderti,
mi dici che vuoi sparire
e siamo d’accordo senza ritegno
ma non voglio toccarti la mano
la fune della salvezza annega
o si torce orribilmente
ed è troppo facile cadere senza sporcarsi
l’esistenza vuota brucia uguale
come pagina bianca o nebbia ispessita,
scomposta ma non abbastanza
da lasciarci perdere in pace
senza memoria
del labirinto sfocato
sospeso tra erotici vortici
in cui
non ci si incontra.