Anarchie di sguardi e di battiti di ciglia, traslitterati in interessi e oscuri rifiuti,
tale è la situazione nei miei trasferimenti mattutini al fronte
in anonimi contenitori metallici sferraglianti, stipati
di anonime forme ombreggianti e talora ondeggianti
all’urto dei binari contro le traverine mal collegate.
Porte aperte da un magnete elettrico collegato da lontano
fanno riversare forme a quattro zampe
fuori e dentro, dentro e fuori senza tregua
talora gruppi di persone si parlano
collegati da sensazioni di abitazione vicina,
attrazione fisica o mentale o invidia latente.
Quando il telelavoro ha preso posto
ho abbandonato oscure scatole alluminee
per rinchiudermi nel mio vallo atlantico
per pensare più profondamente e poter respirare aria
di posto chiuso e muri alti, poiché i suoni e l’aria stessa
vengano attutiti e filtrati solo col mio permesso.
Ora un cavo elettrico mi fa comunicare con un anonimo
distante e differente, che viaggia su due o quattro ruote
ogni mattina, e ogni sera e ancora e ancora
per essere sedato dai rumori e non sentire
il rumore del proprio pensiero e l’odore dei propri passi
riecheggiare e soffiare nel albeggiante mattino di fine marzo.