Ho abbandonato il copioso ruscello,
dove l’assuefante scroscio
dell’onda vorticava nella mente,
in un dilatarsi di attese e sobbalzi
e timori:
la mia casa.
Ho spento candelabri
emananti poca luce,
e dalla cera qui rimasta
ho forgiato l’altare dei ricordi:
i miei amori.
Pagine e pagine ho decimato
dal libro dei virtuosismi isolati,
e i resti adesso mietono
in un falò che smuove il sonno
dalle palpebre della notte:
la mia strada.
Ho tolto i fili
a un malinconico burattino,
rastrellato il piazzale
dove insonnolivano le foglie,
gettato l’ancora
a un dispettoso marinaio
sepolto nell’infinita
solitudine dell’oceano:
era la mia vita.