PoeticHouse - Il Portale dei Poeti e della Poesia
Pubblicata il 25/03/2008
Eccola la campagna,
solcata da navi d’acciaio che sciano il mare di schiume brunastre,
potenti gli aratri oggi che sbriciolano i tufi e le zolle.

Uomini di pezza, ancora, sono i guardiani del tesoro nascosto tra le zolle.

Quell’oro che spunta improvviso dopo la verde attesa e china la testa dinanzi ai perpetui soli del mattino fino al tramonto.

Navigavo anch’io ma con una barchetta inadeguata a quel mare limitato, come se un lago salato si fosse
improvvisamente schiuso dalla terra e mi facesse sentire i suoi profumi.

I cinguettii dei passeri o dei merli la voce.

Solcavo anch’io quei mari con la vanga lucida di nuovo, mentre l’erba sputava la vigoria del male, ed io la strappavo con amore per non farla soffrire.

Mi piaceva seminare come avevo visto fare in certi quadri sovrapposti e ricavati da foto d’epoca.
Con le mani distese quasi a cibare gli uccelli, con la sacca al ventre bassa, obesa di grani.

Un cappello di paglia e il fazzoletto al collo antisudore e le scarpe fin quasi alla caviglia, alte per non soffrire le briciole di terra che penetrano dentro.

Piano per non disturbare la quiete delle ore del primo mattino quando si confondono i colori del mare con quello delle albe e i vapori si alzano a benedire gli alberi con le sue aspersioni leggiadre.

Immerso coi pensieri nel nulla, fatti di gesti meccanici che rasentano la poetica bucolica,
trasporto la vita da un sentiero all’altro e sento i rumori dei vermi che scavano sotto i miei piedi gli humus che fertilizzano la terra.

Lontano due, tre case biancastre riflettono pastelli di luci mentre le campane del primo prete rintoccano la sveglia ai fanciulli.

Improvvisamente si anima la campagna e tenui colori si accendono di abiti festosi. Le donne che stavano in casa a spegnere il focolare, adesso corrono per le limitrofi strade ad accompagnare i figli al torpedone.
Un polverone si alza e scompone l’azzurro trasparente, in molecole sabbiose.

Sembra il brulicare delle acciughe in superficie, quando sono inseguite dai voraci tonni.

Poi, improvvisamente tutto ritace, ritorna la pace dei campi e nei campi mentre le donne di canti riempiono gli orti e i mercati.

Rivedo me stesso negli occhi neri dei papaveri, raccolti dalle graziose mani e offerti alla mamma,
al primo amore, alla nonna, ai cimiteri deserti.

Raccolgo le cose lasciate sul carro e riporto i pensieri in città.

Uguale il deserto silenzioso di voci, ma è triste pensare che nulla di ciò che ascolto è reale.
  • Attualmente 0/5 meriti.
0,0/5 meriti (0 voti)

La voce del vissuto riecheggia di note indelebili.
Il tempo lontano s’avvicina con le sue movenze di terra, gesti, profumi, suoni e colori, e ti lascia smarrito nel profondo magma delle emozioni.
Leggo un amarcord di affetti e grande nostalgia.
Salutone, mati.

il 25/03/2008 alle 23:00

solo tu potevi aveer la pazienza di leggere per intero
questa "proesia"
grazie Tilde Ma...un abbraccio

il 25/03/2008 alle 23:04