A quella cima verde
che svettava all’angolo di una strada
nella periferia della mia città.
Rifugio ed amico per colui che,
nel caldo torrido del solleone
rincasava a piedi
con gravi fagotti in mano
dal mercato della Stratafoglia.
A quella cima verde,
a quel pino dagli aghi smeraldo,
che in un mattino
di polverosi e freddi tùrbini
il morso metallico d’uno scavatore
tranciò di netto dal suo fusto...
E lo ritrovai a terra riverso,
a ringraziar sua madre d’averlo nutrito,
baciando quella polvere bianca
che ora seppellisce le sue esili foglie,
calpestato da cingoli e ruote,
maledicendo l’uomo
per averlo lì piantato
ed aver deciso l’istante
del suo ultimo respiro.