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Pubblicata il 14/12/2006
C'è che d'estate mi spalanco,
come finestra sottovento,
a correnti di colori.
C'è che sempre rincorro le stagioni;
germoglio di pane, ora, grano incolto.
C'è che sono miope,
un po' non ci vedo,
ma con verde silenzio, il bosco
mi soffia i suoi sguardi sulla pelle.
C'è che m'impregno di parole
e come spugna d'inchiostro riposo
sul fondale salmastro del sole.
C'è che l'ombra s'asciuga in fretta,
come un cincin di voci versate
sulla notte a sorseggiarsi la luna.
C'è che coi libri scaccio
le zanzare e quelle mie paure.
C'è che poi dell'afa,
proprio, chissenefrega,
ché c'è del gelato ancora,
ventun giorni contati sulle dita
e mezzo sogno in frigo.
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