Certamente non era vecchia così come sembrava alla prima occhiata e questo mi dava inquietudine.
Dall’aspetto le si potevano attribuire almeno sessant’anni ma se avessi solo intuito la sua vera età, quella sera, sicuro, i suoi anni li avrei puntati al tavolo e avrei vinto, ne ero certa.
Aveva capelli spettinati e sporchi e abiti vecchi e sgualciti, e sulla testa aveva un strano cappellino di paglia con un fiore che le cadeva avvizzito tra le lunghe ciocche bianche.
La notai per l’indecisione del suo andamento: insicuro e precario. Ma, soprattutto, perché, nonostante l’aspetto trasandato, c’era in lei un non so ché di elegante e aristocratico che mi attraeva e incuriosiva.
Terminai di bere il caffè e posai lentamente la tazza sul tavolino e cominciai a fissare quella signora che si appoggiava stanca su una panchina quasi di fronte al mio tavolo.
Il bar che era vicino al casinò di Porto Rose era molto affollato quell'estate ma, nessuno oltre me, faceva caso a quella vecchia signora.
Io continuavo a guardarla incuriosita e non riuscivo a darmi pace perché la sua età era ancora indecifrabile.
Notai solo allora che in una mano aveva una bottiglia e nell’altra un bicchiere.
Forse la teneva nascosta in quella busta di plastica che teneva stretta forte sotto il braccio, come se conservasse qualcosa di unico e prezioso, e avessepaura che improvvisamente qualcuno gliela portasse via.
Si versava da bere con fare elegante, champagne, lei diceva e brindava e parlava in francese al passato, seduto al suo fianco.
Beveva tutto d’un fiato e ancora riempiva il bicchiere. Questa volta fino all’orlo facendolo traboccare, si voltava furtivamente leccandosi le dita bagnate di vino e si scusava con un fantomatico compagno vicino.
Spesso si alzava e con gesti impazienti, chiamava lo chef, reclamando il suo pranzo.
O fingeva di essere al casinò e giocare a blackjack con in mano le carte.
Poi, d’improvviso si rimetteva seduta e guardava lontano, con la mano tesa, come a salutare un’amica che non vedeva da tantissimo tempo, esibendo uno sfolgorante sorriso. Certamente non ricordava che in bocca non aveva neppure un dente.
O forse, non ricordava più il presente.
Ma in quello sguardo perso nel vuoto, percepivo una tale tristezza.
In quello sguardo spento come il suo sorriso, in quell’assenza di bianco, ci vedevo tutta il buio della sua esistenza.
Sentivo forte il desiderio di avvicinarmi, di toccarla, di parlarle. Volevo sapere tutto di lei, mi fermai quando la vidi alzarsi e barcollare per un attimo.
Ma non riuscii a trattenere l’istinto: mi alzai e le andai incontro riaccompagnandola per mano sulla panchina.
Lei mi trattenne la mano stretta nella sua.
Mi guardò con tenerezza senza stupirsi, come se mi conoscesse da sempre e mi disse: grazie d’esserti ricordata che oggi è il mio compleanno. Trentacinque, lo sapevi? Oggi è un giorno fortunato.
Poi si alzò ed andò via mandandomi un bacio.
Quella sera e tutte le altre sere non andai al Casinò e non giocai il trentacinque al tavolo ma mi dissero che usci parecchie volte quella notte.