Una pioggia battente e un vento gelido
colpisce le mie attese che conservo con cura e passione
nell’oasi della quiete.
I lunghi rami della palma ballano al ritmo del vento,
come danzatrici del ventre,
voltandosi da un lato all’altro
mostrando, con vanitosa allegria, le loro spensierate movenze.
La sabbia dorata, calda e fine
s’imbizzarrisce come la criniera d’un cavallo impazzito
che veloce scappa dal pericolo.
Sfida la legge di gravità e si alza in vorticosi coni enormi
che annebbiano gli orizzonti.
Il mio rifugio e il letto del riposo,
scoperchiati e lasciati in balia dell’inevitabile tempesta,
che rapisce le mie coltri lasciandomi nudo innanzi agli inverni notturni.
Florido e colmo il mio calamaio,
rimane ora vuoto da ogni ispirata sensazione,
e la mia penna muta e distesa sulla scrivania,
assume posizioni strane tali ad un bambino nella sua culla,
stanco e addormentato.
Rimane solo l’inerzia e la passione inevitabile
di sedermi e poggiare i miei gomiti sull’annosa scrivania
che mille e mille volte ha conservato i miei segreti e le mie lacrime,
che mille e mille volte ha visto stracciare le pagine,
che mille e mille volte ha visto i miei occhi sospesi su fili invisibili.
Ora son qui a meditar sulle mie angosce
e a lasciar segno dei miei oblii.
Quel che vedo ora son soltanto virgole e macchie di nero
sui fogli nudi e pietosi, dopo aver interrogato la mia anima
sulle inconsistenti paure.
Dura sembra esser l’impresa fomentata dall’incoerenza
di chi non trova spiegazioni e vuol darsele inevitabilmente