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Pubblicata il 17/03/2004
O come vorrei tutta una vita
passar seduto a rimirar le stelle:
egual essere al dio Memnone
che dal suo alto trono di rocca
sogguarda l’immenso occaso
battendo nei ciuffi di loto sparsi
e nella cipria di pario siderali
un vago frammento di sclerotica
pei suoi oculi assenti, spettatore
magno della naumachia celeste
che protagonisti vede gli astri
a contendersi il lume più intenso:
il Cancro consanguineo di Paride
ch’empio si rivale sui Dioscuri infanti
non avendo nulla potuto
contro il terribile virgulto di Alcmena ,
la perduta Lira di Orfeo che suona
anche senza il tocco delle sue dita,
il Sagittario che contro l’Aquila
cacciatore scocca la sua freccia,
la solenne Bilancia che nei palmi
vorrebbe indovinare i pari suoi
ancor meglio di un abbaco assiro;
e poi sul seno mendace dell’aurora,
che più non spaùra pel tempo divelto
ma solo sanguinare fa la fresca pace
della sera, ancora come il dio tebano
languire: e non per saluto ellenico,
ma per le ustioni di bragia
alla face riportate.

febbraio ’03
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