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Pubblicata il 03/01/2004
Appena prese la mia mano
sentii quel freddo dolce del mio polso
urtare il suo,perennemente a fuoco.
Lui,venuto dall’uscio,
l’aveva aperto,senza spalancarlo;
dapprima esitante,
avrà sicuramente provato ad ascoltare
qualche rumore dall’interno.
Io,ero rimasta in silenzio.
Avevo aspettato troppo,
ma non era chiaro
se fossi ingelidità dall’inverno
o dalla mia impazienza.
C’era da aspettarsi
che lui si scusasse
in modo inopportuno,
quasi furbamente,
ma io non chiesi del suo ritardo.
Allora quella porta mezz’aperta
quasi chiusa aveva liberato la sua curiosità.
Ero di fronte alla finestra,umidità dovunque;
sulle finestre,sui vetri,
un po’ di nerume fastidioso fumava alle mura,
quasi l’odore di sottobosco
era diffuso ovunque,
nonostante la camera fosse stata areata.

Si avvicinò.
Che calore!Eppure io non ero uscita
neppure una volta di casa,
ero rimasta in quella camera ad aspettarlo.
Lui,esponendosi al gennaio più umido
che ci fosse mai capitato di sopportare,
mi strinse nelle sue vene bollenti
e quasi avvertii una scossa,un’elettricità.
Che dolce il caffè che aveva bevuto,
mi saziava l’aroma della sua bocca.
Che dire…
già era perdonato il folletto delle nevi.
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La neve, come il deserto, crea dei miraggi ed io non so se il tuo lo sia, però è bello.
Ciao
Cesare

il 03/01/2004 alle 18:53