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Pubblicata il 12/12/2003
“Mortalis amor, dolor immortalis!”
G. Pascoli, Poemata Christiana.

Non ho più memoria
delle antiche notti (ero giovane allora),
quando da lunge,
dai neri abissi dell’anima (sui quali,
per grazia di Dio, regna Lucifero),
salivano demoni, accusando
coi lunghi singulti d’agnello
dei torturati
i consacrati processi e il mondare
i peccati.
Da tempo immemore, per grazia di Dio,
i miei giorni sono ardenti di fede,
come i deserti ardenti nel giorno;
e le mie notti gelide e vuote,
come i deserti nell’immobile notte.
Ma questa notte un sogno venne
dall’infime lande, candido e orrido
come una larva d’insetto,
così vivido e immenso come le estasi
che, se non sono da Satana,
sono da Dio. Né le preghiere,
ch’io mormoravo tra il sonno e la veglia,
cacciarono la greve visione.
M’apparve dunque,
e bruciava fredda bruciando i miei occhi,
una fiamma di fiaccola ferale.
Tremenda m’apparve,
come il sacro roveto sull’Oreb,
e in essa un volto dolente,
come d’uomo che stiano straziando,
ma che sia rassegnato e senza speranze:
pareva avesse patito
tutto il dolore che, sotto il sole,
è già passato e che passerà,
e lo patisse ogni istante.
M’osservava con gli occhi bruciati di lacrime
dei miei torturati,
e dalle labbra bianche e ritorte
non veniva un sussurro:
nascosi tra le mani il mio volto
perché avevo paura.

Allora vidi molti uomini, e donne e fanciulli,
laceri e scuri, scherniti da caroselli di corvi
incombenti, e le ombre come grevi fantasmi
crocifisse da un minacciante sole, e nubi di polvere
levarsi un poco da terra, come rantoli esausti
d’uno che muore.
Presso un sepolcro, attendevano.
Dappresso era un essere, soffuso di pallida luce
come d’un rappreso miasma,
forse un demone afflitto, forse un angelo vinto;
e diceva: “Vi prego, non pregatemi
come prega la madre disfatta
sulla carne d’agnello del figlio
già consacrata al Tempio dei corvi:
non scosterò quella pietra
perché vediate un uomo
farsi polvere, perché quella polvere,
come lebbra sulle ali dei corvi,
piaga sull’ombre crocifisse,
da tenebra a tenebra rantoli
bramando pietà
sotto il sole che minaccia.
Lasciate che riposi, che si sfaccia quietamente
per la lebbra inesorabile, annidata nelle carni
di chi spera.”
Così disse, quel messo del dolore,
e tutti si dispersero.
Uno tornò al mare, gettando le reti
con lunghi gesti pietosi,
divinando il proprio destino
dall’agonia vitrea dei pesci;
uno alla bottega di falegname,
per tessere croci negli alberi morti,
perché i morti ascendessero
al cielo greve della morte;
uno, chiedendo perdono ai suoi nati,
tra gli alberi morti cercò
una culla, rese mesti omaggi al giaciglio
di Giuda, gemello nel dolore;
uno fu accolto tra gli storpi, che predicano
in silenzio la gloria di Dio Padre,
e tutte a Lui offrono le elemosine
irridenti che hanno ricevuto;
un’altra attese a lungo il levarsi d’un morto,
finchè cadde lei stessa, e per l’adempirsi
dolente delle speranze che stanno, grinzose,
sulle gote degli angeli, si ricongiunse
al frutto del grembo, in un grembo più buio.

E allora vidi l’infinito nascere delle creature
come rugiada d’autunno sull’erbe
prossime a ingiallire, dopo che il cielo,
velato di tenebra, ha pianto una notte.
E vidi mestizia in ogni tempo,
un lento fluire inesausto di fiume,
dal cielo, da terra e dall’infime lande,
al grembo d’una buia palude.
E vidi un’immensa quiete dolente,
come fosse il sepolcro di Dio.
E io avrei percorso il mio autunno
come fuliggine da un fuoco estinto,
con pietà, con lieve frusciare nel vento,
senz’odio e senza speranza, lacrimando
per le stelle e per le larve.

Così, per grazia di Dio, conoscendo il dolore,
mi ridestai al sogno del vivere.
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Ridestarsi al sogno del vivere.... poema degno d'un templare d'altre terre lontane e pensieri che mi pargono più di un paladino rispetto ad un inquisitore. Spesso gli Inquisitori erano più legati forse a Satana stesso. Molto accurata la descrizione, se posso vorrei darti un piccolo appunto, magari dovresti cercare di essere un po' più succinto...

Mi è piaciuta cmq

Bravo

Dario

il 12/12/2003 alle 19:03