"Ti confesso, caro Marco,
(non so se mi puoi capire!)
che son nata per soffrire
condannata da quel marchio.

Con quel marchio di bastarda
ho vissuto la mia vita
che, crudele e beffarda,
m'ha sfregiata, m'ha ferita!

E ricordo che mia madre
me lo rammentava sempre,
depredando le mie tempre
con parole non leggiadre.

Il paese! E la sua gente!
Quella gente che paralava!
E parlando m'ingiuriava:
mi sentivo come nienete!

E lo folla: "SEI BASTARDA!";
io sentivo la vergogna
per la frase ria e beffarda,
come l'indicata a rogna.

"SEI BASTARDA!": era una frusta!
Ne morivo alla pronuncia!
Era come la denuncia
d'una colpa troppo ingiusta!

Quella frase, la collottola,
mi domava fredda e vile,
come canna di fucile
che sparar vuole pallottola.

Ero bimba! Senza colpe!
L'innocenza sulla faccia!
Ero preda che si caccia
coll'insulto, come volpe.

E fuggivo! Ancor correvo
per salvare la mia mente
dall'inseguimento sevo
di mia madre, della gente!

E mia madre, tra la folla
(folle e ria che m'inseguiva)
"SEI BASTARDA!" m'inveiva
per uccidermi con bolla.

Senza colpe! Ero bambina!
Lo spavento sulla faccia!
Ero preda che si caccia
con la frase assasssina

E correvo! Il fiato corto!
La mia vita nel periglio!
Senza scampo, credi figlio,
era l'animo mio morto!

In mia alma fanciullina
la paura in un singhiozzo
che, pungente, sul mio gozzo,
era lama a ghigliottina.

Senza colpe! Ero bambina!
Il terrore sulla faccia!
Ero preda che si caccia
proprio come selvaggina.

E correvo forte! E poscia
io scappavo pei sentieri
per fuggire quei levrieri
con un gran senso d'angoscia.

E scappavo! E quella furia
m'inseguiva; e nella casa
io mi chiusi (ero invasa!)
per fuggire la cattura.

Come figlia di ENNE ENNE
ho passato queste pene
per quel sangue nelle vene
ch'era impronta mia perenne.

E vivevo quell'impronta
similmente ad un peccato
che, soffrendo, ho scontato
coll'angoscia e come onta.

Quell'angoscia, figlio mio,
a tutt'oggi porto dietro!
Va uccidendomi il segreto
ch'oltre te sa solo Dio"