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Pubblicata il 02/08/2003
E’ svanito il sole. Cola una luce
immobile dalle nuvole chiare
allungantesi sulla città immensa.

Dispaiono tenui le ombre,
tutto si placa d’intorno,
cessa l’iridea tirannide

nella pienezza somma del giorno.
Sorrido nel disamore della luce:
sempre m’è apparsa più dolce

l’ombra che intera seduce,
ombra che non dispera
l’occhio mio chiaro da sempre,

occhio più adatto alla sera.
O insopportabile forse è lo scherno
gettato da quell’astro malnato

impietoso del bisogno d’oblio
che a lungo sul vivere incombe.
Dimenticare! Dimenticare il bisogno!

Questa è la chiave del sogno!
Confondersi al Tutto e al Tutto tornare!
La necessità obliare! Sembrare un sasso,

un albero o semplice goccia di mare,
accettare il divenire e il torvo suo patire,
e la versione uguale di tutto ciò che esiste

infinite ed infinite volte come la sola
migliore sorte. Dite, non vi pare un po’
orientale tutto questo? E un poco

risciacquato nel nietzchiano?
Sì, ma è lo spettro del vivere invano
che mi tormenta più d’ogni altro

e che l’uomo rende scaltro di filosofia.
Teoremi, ragionamenti, dimostrazioni
ed altre evoluzioni della mente

null’altro create per sentirci un po’ dei,
e smemorarci per un istante dell’unica
realtà terrificante: la Morte come sola

ed unica sorte. Ma perché smemorarci
di questo? Forse che l’ultimo istante
ne esce perdente se subito a lui

conseguente v’è il vuoto più vuoto
del nulla? O un salto, un riso e
un semplice bacio diversi t’appaiono

ora, dal nulla stesso forgiati,
più forti, più belli, più veri rinati
dal nostro più antico terrore?

Errore mostruoso sarebbe pensare
smettere di respirare perché un
giorno poi negato sarà!

Vivere, vivere bisogna!
E fare d’ un istante la felicità.
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