E’ svanito il sole. Cola una luce
immobile dalle nuvole chiare
allungantesi sulla città immensa.
Dispaiono tenui le ombre,
tutto si placa d’intorno,
cessa l’iridea tirannide
nella pienezza somma del giorno.
Sorrido nel disamore della luce:
sempre m’è apparsa più dolce
l’ombra che intera seduce,
ombra che non dispera
l’occhio mio chiaro da sempre,
occhio più adatto alla sera.
O insopportabile forse è lo scherno
gettato da quell’astro malnato
impietoso del bisogno d’oblio
che a lungo sul vivere incombe.
Dimenticare! Dimenticare il bisogno!
Questa è la chiave del sogno!
Confondersi al Tutto e al Tutto tornare!
La necessità obliare! Sembrare un sasso,
un albero o semplice goccia di mare,
accettare il divenire e il torvo suo patire,
e la versione uguale di tutto ciò che esiste
infinite ed infinite volte come la sola
migliore sorte. Dite, non vi pare un po’
orientale tutto questo? E un poco
risciacquato nel nietzchiano?
Sì, ma è lo spettro del vivere invano
che mi tormenta più d’ogni altro
e che l’uomo rende scaltro di filosofia.
Teoremi, ragionamenti, dimostrazioni
ed altre evoluzioni della mente
null’altro create per sentirci un po’ dei,
e smemorarci per un istante dell’unica
realtà terrificante: la Morte come sola
ed unica sorte. Ma perché smemorarci
di questo? Forse che l’ultimo istante
ne esce perdente se subito a lui
conseguente v’è il vuoto più vuoto
del nulla? O un salto, un riso e
un semplice bacio diversi t’appaiono
ora, dal nulla stesso forgiati,
più forti, più belli, più veri rinati
dal nostro più antico terrore?
Errore mostruoso sarebbe pensare
smettere di respirare perché un
giorno poi negato sarà!
Vivere, vivere bisogna!
E fare d’ un istante la felicità.