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Utente eliminato
Pubblicata il 07/08/2022
Mio padre era cittadino italiano ma non dava affatto quest'impressione, né nelle sembianze, né in qualsivoglia manifestazione della propria personalità, tantoché la moglie americana di un mio zio materno lo percepì sempre come elemento etnicamente ostile, e non mi volle credere, quando gli spiegai che, durante la ii° Guerra Mondiale, aveva servito nell'allora Regio Esercito, e non nella Deutsche Wermacht, come lei si era messa in testa. Egli era di padre mantovano e madre bavarese. Non so nulla di Mantova e dei mantovani, ma a meno ché non siano una manica di crucchi, doveva aver preso tutto dalla madre.

Ora, bisogna sapere che già molti secoli prima della nascita di Adolf Hitler, la gran parte dei tedeschi, nei confronti di tutti i popoli slavi, sempre provarono un senso di profonda superiorità, assoluto disprezzo, e diffidenza totale. L'antico sogno prussiano, sintetizzabile in due parole: "nach Osten" (verso Est), era di impadronirsi con la violenza di una buona parte dei loro territori, e ridurne gli abitanti in condizione di servaggio, per costruire la cosiddetta "Grande Germania". Gli slavi, da parte loro, odiavano e temevano i loro vicini, militarmente potenti e meglio organizzati, e non so neppure sino a che punto sia corretto esprimersi al passato. Oltretutto, l'avvento del Bolscevismo e la nascita dell'U.R.S.S., non addolcirono certo i rapporti tra i due ceppi, né tantomeno, in seguito, la presa di potere di Hitler, con il relativo "bagaglio ideologico".

Tutta questa lunga premessa per significare come, per mio padre, gli slavi avessero meno diritti umani di un cinghiale, fossero tutti infidi, crudeli, ladri, assassini, o assassini mancati. Dopo l'Otto Settembre 1943 fu preso prigioniero dai suoi quasi connazionali tedeschi, e tradotto con una tradotta militare fino ad un campo di prigionia, dove si mangiava come uccellini, a Leopoli, al tempo territorio polacco, occupato dalla Germania, ma non se ne ebbe a male. Piuttosto, tutto il suo livore si riversò sui russi e polacchi, ristretti in analoghi campi di prigionia nelle vicinanze. Dovevo avere 16 o 17 anni, quando mi narrò di come un numero imprecisato, ma consistente, di prigionieri russi, a seguito di un'epidemia di tifo petecchiale, fossero stati murati vivi nel campo dalle S.S., senza viveri, a morire d'inedia. A gelarmi il sangue, più che l'atrocità del fatto il se, fu l'evidente soddisfazione con cui ne parlava, a distanza di decenni. Inoltre, quando, col crollo del Fronte Orientale, e l'incombere dell'Armata Rossa Sovietica, i militari tedeschi e le S.S. Totenkopf (testa di morto), a guardia dei campi, si diedero alla fuga, tra i prigionieri dei vari eserciti, ridotti a scheletrini, si scatenò in qualche modo una zuffa gigantesca per impadronirsi dei viveri abbandonati. Dal tono del racconto si comprendeva l'indignazione di mio padre verso questi slavi, subumani, che, spontaneamente, avrebbero dovuto cedere il passo all'approvvigionamento delle razze superiori, e invece non ci pensavano manco pel pisello.

All'epoca ritenni la sua attendibilità prossima allo zero, anche perché era così sfacciatamente di parte da sostenere candidamente che, se i tedeschi gli concedevano pochissimo cibo, era solo perché scarseggiava anche per loro, e il compagno di prigionia italiano falciato con una raffica di mitra, in quanto solito esultare al passaggio delle squadriglie aeree alleate, dirette a bombardare massicciamente le città tedesche, se l'era proprio cercata, in quanto già ammonito dalle Guardie in tedesco, e addirittura avvertito da lui stesso in italiano.

Insomma, sembrava convinto che il cosiddetto Codice d'Onore dell'Esercito Tedesco, oltre ad essere assai cavalleresco, fosse anche rigorosamente rispettato, e che Vienna, detta Porta dell'Europa, dopo aver resistito con successo a due assedi degli zozzoni Ottomani, fosse in realtà l'ultimo baluardo della civiltà prima della barbarie slava, inclusa quell'enclave al tempo chiamata Iugoslavia, corpo estraneo nel cuore dell'Europa, tantoché i suoi figli tuttora sono dai russi considerati "i fratelli slavi del sud".

Non lo sentii mai accennare minimamente al massacro di non so quanti milioni d'esseri umani (o subumani), nei territori dell'Est Europa durante l'ultimo conflitto mondiale. Forse lo considerava alla stregua di un capello fuori posto, o dell'eccezione che conferma la regola.

Col trascorrere del tempo, mi è sono tornati ciclicamente alla mente i suoi pregiudizi, quando venni a conoscenza degli orrori delle Foibe Istriane, perpetrati dalle cosiddette "belve titine", ossia i combattenti iugoslavi del Maresciallo Tito (appena una quindicina di anni fa, all'incirca, è stato girato un film in Croazia, il cui titolo è traducibile letteralmente in "Trieste è nostra!"), ma soprattutto quando rimasi ingenuamente incredulo davanti alle notizie, quasi in tempo reale, che narravano le atrocità all'ordine del giorno durante la Guerra Civile tra le varie etnie dell'ex-Iugoslavia, negli anni Novanta dello scorso secolo (mi risulta che, all'epoca, un assassino squilibrato, evaso da un Manicomio Criminale del nord Italia, abbia presentato il proprio curriculum vitae ai Paramilitari serbi, venendo ritenuto idoneo a svolgere il ruolo di torturatore, benché psicopatico, o forse proprio a causa di ciò). Per non parlare poi dei vari conflitti susseguitisi in Cecenia, Georgia, fino agli eventi sconcertanti dei giorni nostri nell'Ukraina.

Finora sono stato quasi serio, ho scritto dei pregiudizi di mio padre, della Porta dell'Europa, di uomini che combattono ferocemente, di crudeltà.

Ora voglio scrivere dei miei pregiudizi, della gattaiola, o delle varie gattaiole dell'Europa, da cui, a partire dalla caduta del Muro di Berlino, sono passate in area occidentale una moltitudine di belle gattone, o meglio sorcone, determinate a spennare e a mettersi in saccoccia la marea di maschi benestanti (almeno rispetto a loro), tra cui gli italiani sono forse i più fagiani, combattendo sì una guerra, ma incruenta, a parte forse le M.S.T., fatta di astuzie, blandizie, recite da Premio Oscar, in cui l'unica violenza è quella, graditissima, certo, con cui ti strappano la cappella, a forza di rabbiosi pompini, e selvagge scorticate nel culo stracciato, o nella sorca cavernosa in cui rimbomba l'eco dei colpi di patocco dei grulli nostrani.

Le uniche che, in una certa misura, rispetto, sono le zoccole di professione, stradali, condominiali, o a domicilio, che non ti mentono, si presentano per quel che sono, e tendono la mano non per stringere la tua, ma il corrispettivo della marchetta, e spesso mandano anche soldi a casa per sostenere le proprie famiglie disagiate, denari guadagnati onestamente, col sudore fra le cosce e le chiappe sode, e il sapore acido della sborra in bocca, quando non la devono proprio digerire. Oltretutto svolgono una funzione sociale essenziale.

Da quando l'omosessualità è stata stralciata dalla lista delle malattie mentali, si sa, c***o o fregna so gusti, e, nell'anno 2001, il più giovane dei miei fratelli, allora poco più che trentenne, fece una scelta chiara in merito, che col tempo doveva condurlo a divenire il più grande coglione del mondo, succube del triangolo nero. Si fidanzò con una bella ragazza ucraina, educata, garbata, sempre sorridente, e dalla voce mielata.
quando gli fu presentata mio padre, ormai vecchio e molto malato, ma tutt'altro che ricoglionito, senza che costei avesse aperto bocca, che gli fosse stata fornita alcuna notizia sulla fanciulla, incluso il nome, incredibilmente ne fiutò le origini, come un Nazista campione di caccia agli ebrei fiuta Sara o Rebecca, e si finse incapace di comprendere e dialogare, chiudendosi nel mutismo più assoluto. In seguito si svolse la seguente conversazione tra noi:

Padre: "ma chi è quella?",

Figlio: "è la ragazza di Fabio".

Padre: "ma come mai?",

Figlio: "boh, se vede che glie piace, io che ne so, mica l'ho assaggiata".

La bella e dolce Natasha riuscì ad abbindolare mia madre e mia zia materna, ma non me, che percepii immediatamente la sua falsità e avidità, ma soprattutto l'assoluto disinteresse sentimentale verso il mio fratello beota, fidanzato e futuro sposo.

rammento una conversazione spassosa tra me e mia zia:

Nipote: "ma quella è una stracciona, ma dico, non capite?",

Zia: "tuuu, sei uno straccione (in effetti ero assai più malvestuto di Natasha, e non certo per mancanza di denaro)!!! Non hai visto come è bella e di classe quella sua amica alta e snella, sembra una modella, perché non ti muovi, falle un po' di corte, cerca di conoscerla, ormai hai quasi 40 anni, non vuoi una moglie, non vuoi un figlio?",

Nipote: "a zì, ma che sbarelli, quella è una slava, glie posso da 30 euro a botta!!!",

Zia: "disgraziato!!!!!", facendo giusto la mossa di avventarsi contro di me, immobile e sorridente, per schiaffeggiarmi.

Povere vecchine, possedevano un cuore immenso, ma ormai il Mondo le aveva sorpassate, anzi doppiate.

Infatti, col tempo apparve sempre più evidente che i miei pregiudizi rientravano assolutamente nel detto attribuito a Giulio Andreotti:

"a pensà male è peccato, però ce s'azzecca!!!".

Nell'ordine, Natasha:

pretese sempre più utilità da mio fratello, automobile nuova, vestiario costoso, rinnovo per l'arredamento per la casa di suo gradimento, vacanze (oltretutto solo una volta per andare a trovare la vecchia madre vedova, rimasta sola, e in cattiva salute, di cui lei se ne frega, e anche per questo mi fa schifo), ammannendo ripetutamente la stronzata pazzesca che in Ukraina, durante la cerimonia, le spose indossano una vera corona d'oro, prestata dalla Chiesa Ortodossa, giusto il tempo strettamente necessario, a simboleggiare che la moglie è una Regina, e come tale deve essere trattata dal marito mentecatto. Ma andate a cacare nel giardino dei Negri, che non guardano in testa a nessuno, e s'inculano pure la Regina Vergine!!!

Si fece mantenere agli studi da mio fratello, per conseguire la Laurea Breve in Scienze Infermieristiche, il che non sarebbe stato affatto male, se poi, una volta assunta come Infermiera in un Penitenziario, non avesse proceduto a scoparsi tutte le Guardie, che la scarrozzavano avanti e indietro con l'auto di servizio.

Accortasi, che, malgrado mantenessi nei suoi confronti un contegno da cognato rispettosissimo, di sottecchi la squadravo con occhi da Don Lurido, senza alcun preambolo mi disse: "mia sorella è come me, solo che non ha gli occhi azzurri....", al che io nemmeno risposi, robba da matti, come se Don Lurido abbia mai saputo il colore degli occhi di questa o quella donna.

In seguito, quando questa sorella si mise con un italiano assai più anziano di lei, e anche di me, sempre senza preamboli mi disse, trionfante: "mia sorella si è fidanzata, e il fidanzato è anche molto ricco!!!", al che io ancora tacqui, pensando: 'e chi se ne frega, nun ce lo metti?'.

Coglionando ulteriormente la mia povera madre, complice la natura chiusa e taciturna di mio fratello, la persuase che era lui a non volere bambini, mentre invece quel testa di c***o si consumava di malinconia, con le conseguenze che illustrerò fra poco.

Quando ottenne un lavoro a tempo indeterminato, sia perché mio fratello aveva un po' stretto i cordoni della borsa, sia perché forse rimpiangeva la totale indipendenza, gli intentò causa per la separazione con la richiesta di 100.000 euro. Avendola persa completamente, malgrado fossero formalmente separati, continuò a vivere con lui, evidentemente ancora innamorato di lei, riuscendo a convincerlo ad intestarle un monolocale. Solo allora capii del tutto perché aveva sempre lamentato il fatto che la coppia avesse sempre vissuto in case in affitto. Se la casa fosse stata di proprietà poteva sperare di sbatterlo fuori, e impossessarsene lei.

Quando mio fratello allacciò una relazione adulterina con la badante rumena di mia madre (un'altra bella troia peggio di lei, ma più rozza, meno sottile nelle astuzie), lo scoprì subito, facendolo pedinare da uno degli sbirri a cui l'aveva data, informandomi e deridendomi per la mia ingenuità, "alle soglie dei cinquant'anni....", disse, visto che le cose si svolgevano sotto il mio naso, e neanche avevo sospetti.

Da allora tra le due zoccole, che si caccerebbero gli occhi, è tutt'ora in corso una guerra senza esclusione di colpi, non per l'uomo, ma per il Bancomat, visto che Fabio sembra tuttora sentimentalmente succube della moglie (che, per ovvie ragioni, ha voluto la Separazione, ma non vuole assolutamente il Divorzio), ma rimane legato alla rumena, pur disprezzandola, perché costei ha un bimbo decenne, su cui riversa assurdamente tutto il suo affetto di padre mancato, fornendo alla madre un ottima leva per mungerlo. Ho saputo che ha fatto Testamento a favore di entrambe, al 50%, quando vi è un terzo fratello disoccupato storico, e indigente, alloggiato e mantenuto esclusivamente da me.

Grazie a Dio, solo il micio ha il potere di intenerire il cuore di ghiaccio di Don Lurido, "l'unica creatura risparmiata dal Macellaio!!!", come si recita in un memorabile film.

Dulcis in fundo, Natasha non ha provato nemmeno vergogna nel tentare di farsi prestare migliaia di euro da me, e persino dal terzo fratello, che non ha nemmeno l'uccello per pisciare. Al netto rifiuto mi riattaccò in faccia il telefono, e saranno ormai tre anni che non ci si sente. Quando la sua patria è stata invasa l'avrei anche chiamata, per correttezza, ma è una merda vivente ed intrigante, chissà che storia straziante avrebbe inventato per spillarmi quattrini. E poi, in finale, che c***o me ne frega, a me chi me s'encula??? Persino i froci mi chiedono soldi.

In conclusione, dovrei rivolgere a mio fratello Fabio la stessa domanda che, secondo il comico Roberto Benigni, il socialista Ugo Intini avrebbe posto a Bettino Craxi:

"ma eran poi vere tutte queste storie di soldi, donne, e Champagne? A me son toccati solo una gazzosa e un giornaletto pornografico.......".
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Bella storia. ***** Alcide.

il 08/08/2022 alle 13:50