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Pubblicata il 24/05/2022
Lasciando il centro città imboccai volentieri il cavalcavia. Discendendolo, oltre la ferrovia, avrei rivisto l'ultimo bel prato che resisteva solitario all'accerchiamento dei nuovi insediamenti urbani.
Un po' defilato al di là della corsia opposta, avrebbe ancora appagato il mio sguardo di passaggio, anche se ormai la sua presenza mi diveniva sempre più abituale, quasi ordinaria.
Ma quel pomeriggio, appena superata la sommità del sovrappasso, una distesa di rosso comparve alla coda del mio occhio sinistro. Volsi repentinamente lo sguardo e un sussulto di emozionante stupore mi scosse l'animo. Sbalordito, quasi incredulo e poi subito ammirato ed inebriato, dentro di me gioivo e scalpitavo per  precipitarmi ad ammirare da vicino tale exploit della natura.
Parcheggiai l'auto alla bell'e meglio, presi freneticamente la macchinetta fotografica da quattro soldi che tenevo per queste fortunate occasioni e lasciandomi non so più cosa alle spalle, corsi incontro all'evento.
Papaveri, papaveri e ancora papaveri; una vera coltre rossa stesa sul verde, ancora più fitta che nel quadro di Monet.
Realizzai subito che il modo migliore di fotografarli sarebbe stato la full immersion tra essi.
Mi stesi sull'erba e ad altezza petali immortalai in prospettiva radente quella magnifica infiorata. Sullo sfondo appariva una vecchia cascina diroccata, di quando la città non si era ancora allargata.
Era molto gratificante il contatto visivo, quasi epidermico con quei piccoli svolazzi garibaldini.
Lì per lì, magari perché già soddisfatto dall'averne ottenuto il souvenir, non ricordo di essere rimasto più di tanto a vivere la meraviglia di quei petali accesi. Forse consideravo che comunque li avrei rivisti l'indomani, come si ritrova un'opera d'arte nel luogo destinato ad esporla, sia pur temporaneamente; senza minimamente pensare alla tipica labilità di taluni cicli della natura.
Fatto sta che me ne tornai a casa pago, col mio bel trofeo che avrei poi appeso al muro, una volta sviluppato.
In realtà poi le stampe rimasero in un cassetto, finendo poi disperse, insieme ai negativi, nel guazzabuglio di una soffitta.
Ma per fortuna il negativo migliore si è sviluppato in me. È il ricordo indelebile, anche se ormai sbiadito, di un avvenimento quasi unico e irripetibile per me che vivo in città. La gioia di un incomparabile a tu per tu con quei piccoli nuovi nativi, come Gulliver libero tra i Lillipuziani o una rockstar galleggiante sui fan. La singolarità di un incontro ravvicinato di inaspettato tipo; quasi una sfaccettatura, sia pur in modo minimo e diverso, del vissuto di Konrad Lorenz tra le sue oche; perché un imprinting in senso inverso lo si viveva già da bambini premendosi sulla fronte i pistilli dei papaveri per tatuarsi effimeri disegni di raggiere.
Poi in quel prato un quadrifoglio ha riacceso la magia di quei momenti nel viso meravigliato e felice di chi l'ha trovato.
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Caro Ben magnifico racconto!!

il 24/05/2022 alle 10:47

Grazie. Tempo fa sono entrato per curiosità su "ali di carta" e ho letto un'altrettanto magnifica tua poesia. Non mi pare che potessi commentarla, visto che non sono iscritto. Se mi dici che le pubblichi pari pari su PH la cerco qui.

il 24/05/2022 alle 11:44

Complimenti davvero, Ben! Un capolavoro da non perdere. Ciao caro

il 24/05/2022 alle 18:26

Grazie Sir. Mi piace raccontare cercando di far sì che chi legge possa riuscire ad immedesimarsi.

il 24/05/2022 alle 18:46

Caro Ben a parte "Canto dell' amore ritrovato" le altre sì...ciao!!!

il 24/05/2022 alle 18:58