Quando una storia può dirsi conclusa?

forse quando illusa te ne stai,
distesa fra i ricordi,
in attesa di altri giorni
in attesa che la distrazione d’un Dio danzante,
capiti proprio a piè dei tuoi piedi,
ballerina tra le istanze e le faccende,
d’una vita che ogni giorno ti stende,
e ancora ti distende
tenendoti immota: l’occhi al cielo,
e l’anima remota.

vivi i tuoi giorni dimentica d’un passato,
che, come uno iato,
ti passa a trovare,
il dì di Natale d’ogni anno passato
e, per amara certezza
di ciascun anno venturo,
che scade il trentun dicembre, dei trecento e passa giorni
covo latente,
e i giorni fantasma ti appannano la mente.

ti ricorda,
quel dì,
dei tuoi occhi così diversi,
ma nella forma fermi a quei versi
che scrivesti quando stanca,
la poesia ti sollevò dal supplizio,
d’un amore mal definito,
dai contorni sfumato,
dalle urla lacerato,
e andato chissà dove,
amore amore e basta,
lo cerchi nei tombini d’ogni strada disastrata,
porgi i fiori nel tuo vaso,
mentre innaffi radici d’un dolore lontano;
quanto ancora abbiamo?

se ancora offri il tuo cuore alla luna,
e preghi che ti trasformi in notte,
al riparo dalla luce d’un mondo ignaro,
di quel dolore riparo,
da quel dolore lontano.

ma poi la gioia, misticanza d’emozioni
pinzimonio su portate, poi mica tanto buone,
ti ricordano che deve,
poi esserci un altrove,
un modo,
un giorno, un gioco
per sublimare il sentimento,
dello sgomento,
padre.

o dolore,
io che t’amo e a te mi offro in ogni dove,
non mi diventar supplizio,
solleva il mio animo e porgiti al gaudio,
fa l’amore con la gioia,
mischiati all’impavida
decadenza della noia,
e lasciami volare,
che forse questo nuovo anno,
è quello giusto per andare.

spiccare il volo