poi venne un caldo vento di favonio,
fu quello che voltò l’ultima pagina.
fu come un vento gagliardo e fiero,
venuto a raccogliere la spiga ormai matura.
venne con una lama lucente di dolore
al pari di cesoie ben affilate
a tagliar l’ultimo grappolo di sole
quello che stillava vino di poesia,
quel nettare gradito agli dei
e a quelli come te
nelle cui vene a fiumi scorre
taciturna e greve.
fosti vessillo di cobalto
issato sulle rive dello Jonio
e figlio di carrettieri,
come si dice ancora
tra le tue note austere.
ma tu fosti e sempre resterai,
il nostro capitano,
sulle cui rotte si unirono a frotte
i sognatori,
gladiatori dalle mani inermi
che impugnare solo sanno
lo stilo affilato del loro pensiero.
ora hai deposto il logoro timone
e la sorte di questa città
ormai non t’impaùra.
che tu possa godere
dell’ agognato sorriso degli angeli,
mentre a noi, superstiti, tra lo smog
di queste rive,
rimangono soltanto
occhi di silenzio
che colmano di rimpianto
le ampie stive.