PoeticHouse - Il Portale dei Poeti e della Poesia
Pubblicata il 10/03/2021
Settembre è alle porte. Un tiepido sole indora le barche sul molo. Alle prime ore del mattino Praga, dopo ferragosto, è silenziosa. Nelle viuzze strette si respira un'aria intrisa di fritto e spezie della notte appena trascorsa. Sto seduto sul barcone e guardo il Moldava; i miei occhi si perdono nell'immensità di questa massa liquida, che appare immobile ma nasconde nel profondo correnti avide e travolgenti. Sul fiume non ci sono barche in navigazione, solo in lontananza intravvedo una chiatta da pesca ancorata in mezzo alla corrente con due pescatori a bordo che, seduti sui loro sgabelli, tengono lo sguardo fisso sulle lenze. C'è qualcosa di calmo e riposante nel loro attendere che i pesci abbocchino, lontano da quella fretta febbrile che anima il fiume durante tutto il giorno.
tutto il molo è occupato da imbarcazioni di ogni genere tra cui si notano minuscole barchette galleggianti ormai sorpassate, ma in ottimo stato, di cui si servono ancora vecchi pescatori orgogliosi del proprio lavoro.
Una barca a vela passa veloce sull'acqua. Anche il veleggiare richiede
cognizioni e esperienza; l'abilità nel fare le cose non è innata ma ha bisogno di duro lavoro e sacrificio. Sono qui a perdermi tra riflessioni e mesti pensieri in attesa di Sara e Davide, due amici d'infanzia che hanno voluto farmi una sorpresa. L'autunno che arriva mi mette addosso una certa malinconia e mentre volgo lo sguardo sul ponte vedo gli amici che arrivano di corsa. Vado loro incontro. Sono un uomo di poche parole, lo sono sempre stato, ma dopo la morte di mia moglie
sono diventato ancora più taciturno. Alla vista di Davide ho pensato alla mia giovinezza e immediatamente il ricordo mi ha provocato un improvviso malessere. Mi succede sempre quando rivedo qualcuno che sa della tragedia che mi è capitata da adolescente. Davide mi viene incontro sorridendo e mentre mi abbraccia, dice affettuosamente: " Ciao Antonio! Sono certo che senti nostalgia dell'Italia. Oggi sarà una giornata speciale per noi, questa gita sulla Moldava ci riporterà
indietro nel tempo, alle nostre estati all'isola d'Elba, ricordi?". A quelle parole annuisco ma avverto di nuovo un leggero turbamento . La mia barca è ormeggiata sul molo, bastano pochi passi per raggiungerla. Saliamo tutti e tre a bordo e tolti gli ormeggi, la faccio scivolare sull’acqua con grande abilità. Da molti anni ormai svolgo il lavoro di timoniere accompagnando i turisti nelle gite
sul fiume. La prua della barca fende I' acqua e procede dal molo verso il centro del fiume, passando
sotto i ponti abbelliti da grandi statue di Santi. La leggenda racconta che, di notte, le statue del Ponte Carlo si animino per prendersi cura dei bambini della vicina isola Kampa. Sara e Davide sono affascinati dalla bellezza del panorama dai tetti rossi della città e dalle torri dei castelli medievali che si ergono con tutta la loro maestosità. Racconto loro che Praga, con la sua atmosfera fumosa, le chiese barocche che si stagliano severe contro il cielo grigio e i palazzi dall'aspetto antico, è sempre
stata fonte d'ispirazione per poeti, artisti e che ogni angolo affascinante ha la sua storia e la sua leggenda. Dico loro che secondo la leggenda, sotto il ponte che stiamo attraversando, vivono i Vodnik, folletti delle acque che si divertono a rovesciare le barche dei pescatori e degli innamorati. I Vodnik però non sono malvagi, hanno anche la fama di salvare le anime delle persone che affogano nel fiume e conservare i loro corpi in delle grosse ampolle di vetro. Davide e Sara scherzano sui Vodnik: "Speriamo non rovescino anche la nostra barca, non abbiamo nessuna intenzione di finire nelle loro ampolle!"-dicono ridendo- Io non sono dello stesso parere; quanto avrei voluto incontrarli per porre loro certe domande! Continuiamo il nostro viaggio chiacchierando pacatamente delle nostre vite fino a quando Davide improvvisamente mi dice :”Antonio, lo sapevi che è morto il padre di Giovanni, il tuo compagno di banco del liceo, ricordi?". "Si Davide – rispondo mentre il cuore inizia a battere forte - Come potrei dimenticare!" Era
l'anno 1965. Giovanni ed io avevamo quindici anni, eravamo come due fratelli, compagni di classe e di banco. Adoravamo pescare al mare. Quell'anno a Natale ci regalammo una canna da pesca,
reciprocamente, senza che l 'uno sapesse dell'altro; avevamo avuto entrambi la stessa idea. Le domeniche era consuetudine recarci, con i nostri genitori, all'isola d'Elba, dove possedevamo una
casa sul mare. La nostra casa era stata costruita su un'altura da cui potevamo osservare tutto il litorale ricco di scogli altissimi e di spiagge che erano, in effetti, delle piccole baie. Una domenica di febbraio, la nostra zona fu investita da un forte vento, sembrava un tifone. Il mare divenne minaccioso, le onde altissime s'infrangevano sugli scogli e si sollevavano quasi a toccare il cielo, onde che nei piccoli tratti di spiaggia trascinavano via enormi quantità di sabbia. Mentre gli adulti ne avvertivano il pericolo per noi ragazzi era un divertimento, un'attrazione straordinaria e interessante. Il vento fischiava e faceva un baccano d'inferno sollevando tutto ciò che trovava per terra per farlo volare e trasportarlo chissà dove. Non era la prima volta che assistevamo a giornate così rumorose di vento e di pioggia. Eravamo costretti a stare in casa, con le finestre chiuse, potevamo comunque osservare fuori perché il soggiorno aveva una grande vetrata con i doppi vetri e non potendo uscire ci chiudevamo nella mia camera, rincorrendoci e scambiandoci battute e risate noncuranti del disastro che si stava abbattendo intorno a noi. Quel giorno, quando il vento smise di soffiare, Giovanni ed io decidemmo di fare una passeggiata sugli scogli per vedere cosa il mare avesse abbandonato e ammirare quelle grandi onde che s'infrangevano su di essi. Venivamo spesso a pescare, in quel punto, con le nostre canne, un luogo che conoscevamo bene ma che il forte vento in poche ore ne aveva velocemente mutato l' aspetto. Gli scogli erano sommersi da strati di alghe e la spiaggia che prima appariva ondulata dai cumuli di sabbia ora era diventata piatta e liscia come una pista di pattinaggio. Ogni tanto s'intravvedeva qua e là un rifiuto portato dalle onde, pezzi di legno, bottiglie di plastica, qualche ramo secco, anche qualche stella marina ormai senza vita. Decidemmo di arrampicarci sugli scogli per vedere il mare dall'alto. Sapevamo che era pericoloso, perché alcune pareti erano talmente lisce che poteva succedere di cascare in acqua e non poter più risalire. Nulla ci faceva paura, ma si sa, da giovani si ha come un senso d'onnipotenza. Il mare visto dall'alto appariva ancora minaccioso, onde alte si sollevavano e si abbattevano sugli scogli, simili a serpenti che si lanciano per morderti e poi improvvisamente si ritraggono aspettando il momento opportuno per colpirti e iniettarti il veleno mortale. -Andiamo via!- dissi a Giovanni e tentai di salire in un punto meno pericoloso. Giovanni non si mosse. Era talmente assorto a raccogliere qualcosa tra le rocce che non si rese conto della grande onda che ci stava venendo addosso. Egli invece di seguirmi rimase chino e proprio nel momento in cui lo incitavo ad allontanarsi, una massa d'acqua lo investì in pieno inghiottendolo in un secondo. Sapevo che lo avrei dovuto afferrare per un braccio, trascinarlo con me, ma la mia reazione fu talmente istintiva da non rendermi conto di ciò che stava per accadere. Rimasi paralizzato a osservare quell'onda che si allontanava con tutto il suo carico, come se delle corde trascinassero una bestia inferocita per riportarla dentro la sua gabbia. Mi guardai intorno e mi resi conto che Giovanni era scomparso, svanito nel nulla. Passarono pochi secondi e I' onda riapparve all' improvviso abbandonando sugli scogli il corpo del mio amico. Avevo I' impressione che l' onda mossa dalla pietà per la mia immensa paura avesse deciso di riconsegnarmi quel corpo in un momento di generosità. Non potete immaginare il mio terrore quando vidi Giovanni immobile, adagiato su uno scoglio con una profonda ferita alla testa, gli occhi spalancati e la bocca semi aperta come se volesse dirmi: "Bell'amico che sei? Sei fuggito senza prestarmi il minimo aiuto!".
vomitai dal terrore. Mi venne in mente di fuggire, allontanarmi veloce, ma non avevo forze, non riuscivo a muovere le mani, sentivo un forte ronzio alle orecchie; la vista improvvisamente si annebbiò e svenni. Mi trovarono dopo molte ore che vagavo in stato confusionale, con gli occhi
spalancati, pallido, la bocca aperta da cui usciva un flebile lamento. Le ricerche del corpo di Giovanni durarono a lungo ma non fu mai trovato. Speravo che, a ogni squillo di campanello, apparisse alla porta sorridente e mi dicesse: " Ciao sono tomato!" Mi rimproveravo che se l'avessi afferrato e strattonato per il maglione, forse avrebbe potuto salvarsi. Invece ero scappato come un ladro, abbandonandolo alla morte. I miei cercavano di non parlare di quella disgrazia, qualche volta mia madre mi diceva che dovevo ingraziare il Signore per essere scampato alla cattiva sorte. Neppure i genitori di Giovanni mostrarono astio nei miei confronti, ma non conoscevano la storia fino in fondo. Per molto tempo rimasi chiuso in casa, per quell'anno non mi recai neppure a scuola. Non riuscivo a dimenticare il corpo ferito e lo sguardo fisso su di me. Nei sogni, Giovanni, mi veniva a trovare ed erano incubi, in cui mi appariva grondante di sangue e mi guardava con odio.
mi svegliavo con una forte tachicardia e il corpo completamente bagnato di sudore. I miei decisero, sotto consiglio del medico curante, di trasferirmi dai nonni, ma gli incubi continuarono a tormentarmi. Sentivo dentro di me che avrei dovuto dimenticare. Era comunque difficile perché avvertivo come una sensazione di presagio funesto, anche se mi sforzavo di cacciarlo dalla mente. Superati i sedici anni mi ritirai da scuola. Andai a lavorare in un parcheggio di barche a La Spezia.
fu tramite un amico che dopo molti anni trovai lavoro a Praga e mi trasferii in questa città a maggio del 1975.
avevo trovato alloggio in un quartiere periferico in una casa umida e tetra. Di notte, chiuso nella mia stanza, sognavo che Giovanni non era morto, mi svegliavo convinto che fosse vero e per
settimane il mio animo si rasserenava. Mi avevano riferito che suo padre si era trasformato, dopo la sua scomparsa, in un vecchio miscredente. Non lo avevo più incontrato dopo quel famoso giorno,
ma preferivo così, non avrei sopportato di vedere sul suo viso tanto dolore. Ogni volta che mi trovavo solo sulla barca, cercavo di raccontare a Giovanni di me. Parlavo da solo per ore, come se lui mi fosse vicino. Gli raccontavo ciò che mi succedeva, i miei pensieri e anche i rari momenti di serenità. Gli dicevo che ero un solitario, con il perenne pensiero di scoprire il significato della vita e della morte perché non ne capivo il limite, non conoscevo il confine tra la carne e il pensiero.
avrei voluto, a volte, entrare in contatto con lui per chiedergli dell'aldilà, per sapere se fosse vera la dimensione di luce e pace interiore che si vive in quel luogo. Mi chiedevo se fosse cresciuto, se il
suo viso lungo, infantile, avesse assunto un aspetto raffinato come quello che aveva suo padre prima della tragedia. Mi ostinavo a credere che il dolore si dovesse affrontare in solitudine, senza contare
sull'aiuto di nessuno, come le innumerevoli prove che il destino ci pone davanti, alle quali siamo spesso costretti a far fronte da soli. Avrei tanto voluto incontrare i Vodnik, folletti del fiume e chiedere loro se avessero conservato l'anima di Giovanni per incontrarlo almeno una volta.
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Scusa, intensa ma è un racconto.....

il 10/03/2021 alle 05:32

Ti confermi brava nei racconti, questa volta sei andata all'estero per raccontare un dramma universale....

il 10/03/2021 alle 06:14

Un racconto emozionante, scritto molto bene, rovinato qua e là dal rigo che va a capo in maniera sbagliata, ma questo dipende dalla pubblicazione. Brava Ninetta.

il 10/03/2021 alle 08:07

Hai un cuore sopraelevato, popolato da un oceano d'amore, che non tralascia nulla, procedi tranquilla e serena stai andando nella giusta direzione, mi commuovi sempre, infinite grazie

il 10/03/2021 alle 08:48

C'è qualcosa di calmo e riposante nel loro attendere che i pesci abbocchino, lontano da quella fretta febbrile che anima il fiume durante tutto il giorno. Questo passaggio mi è rimasto impresso: tutto il racconto è scritto alla perfezione. Veramente brava!

il 10/03/2021 alle 11:05

Tutto è nato , caro Arturo, dopo aver visto una cartolina e la fantasia ha galoppato. Ginni è un racconto, storie di persone cadute dagli scogli e poi scomparse non sono rare, naturalmente in questo racconto io metto molto di mio, Antonio non rimarrà avviluppato dal senso di colpa, scenderà in fondo al fiume accolto dai Vodnik e parlerà con il suo amico. Il finale sarà nel prossimo scritto.

il 10/03/2021 alle 15:15

Ciao Vincent sono una frana...ortografia etc...Grazie per accettare tutto come viene. Ogni volta che rileggo trovo moltissimi errori. Sigh!

il 10/03/2021 alle 15:19

Grazie Il vecchio poeta, Aug94,Sir Morris, Un abbraccio!

il 10/03/2021 alle 15:22

Il brano è gradevole Ninetta, Praga è l'ultimo luogo che ho potuto visitare prima che la vita prendesse la piega che ben conosciamo. Una perla la città, poco ad est di noi in fondo, appena dopo l'angolo, da fiaba i boschi celtici, il respiro della terra Boema. Non sapevo dei Vodnik, ma sulla Moldava di certo aleggia una magia che resta, anche dopo il ritorno.

il 10/03/2021 alle 19:17

Cara Arlette concordo nel considerare Praga una città magica, nel Medioevo era il cuore della credenza esoterica e degli esperimenti alchemici. Ci sarebbe da parlare per ore di questa città. Grazie per aver gradevolmente apprezzato il racconto .

il 10/03/2021 alle 22:40

Grazie Genziana per aver trovato il tempo di leggere, la mia unica velleità è quella di condividere con voi i miei componimenti perché ciò mi incita a proseguire nella scrittura. Saluti cari.

il 10/03/2021 alle 22:47

Mi piacciono i racconti che si confondono con le leggende perché anche nella realtà più vera esiste nel profondo quel mistero del vivere che mai ci abbandona sospesocome un raggio di luna sulle nostre teste

il 11/03/2021 alle 03:37

Grazie Malaluna, l’essere umano da sempre è affascinato dal mistero, dalle leggende dove c’è un mondo nascosto, che incute terrore ma attrae perché da esso, spesso, traiamo suggerimenti per vivere meglio.

il 13/03/2021 alle 20:32