Fra i meandri della corte notturna
ogni spettro fiata silenzi, che mai
fra i villaggi miei natali sentii.
soli stridori del malinconico vivere.
fra le piazze ampie di questo reame
s'esalano dolci profumi d'anime
prostrate al tintinnio barocco
delle sinfonie pervenuteci dai cieli.
e l'ascolto elegiaco riempie a pieno
ogni recesso dei miei organi.
il pensiero vaga, e solitario in Dio,
ricerca i suoi perché, imperituri
naufragi senza spazi né cagione.
poi degli echi assaltano le menti
assopite - Sono solo? - chiedono.
prima un saluto di sirena adultera,
poi l'urlo straziante del notturno,
che comprime ogni coltre quieta;
e per ultimi virili bisbigli fra i campi.
- È l'annuncio delle mie utopie? -
gli abitanti legati alle sacre catene
della loro lucidità mentale.
- Sto forse impazzendo? - Gli echi
indistinti fra sacro e profano.
confinati nel Paese bellico e
nei pacifici cieli in cui volteggiano
strumenti a fiato e a corde.
fra il mare in tempesta e le oasi.
ma io dico: è soltanto il cantico
del poeta padre, che annoiato,
elegge i suoi discepoli aedi,
e li esorta a sedurlo con una lirica
come questa mia, incerta.
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