Dal dormiveglia mi destò
debolissimo il tuo miagolio,
d'inimmaginabile sofferenza,
quale mai prima avevo udito,
eloquente e rivelatore,
e, ancor prima di vederti,
lunghissima ai piedi del letto
dal dolore irrigidita,
dall'atterrito musetto
implorante soccorso,
seppi,
dopo lungo calvario,
esser quei tenui, strozzati versi,
il rantolo dell'agonia.
Con strazio e difficoltà
nel maneggiare il sofferente corpicino,
nel grande traportino t'introdussi,
su morbidi cuscini,
e sul musetto, vigliacco,
un bacetto iscariota impressi,
un bacetto d'ipocrita addio,
appena prima d'affidarti
a chi mai per te amore ebbe,
né per le bestiole
affetto o simpatia,
affinché, per disperato tentativo,
alla Clinica Veterinaria
rapido ti conducesse.
Né mai più ti rividi,
ché nelle sue distratte mani,
sola e terrorizzata, scientemente,
come pacco senza valore, t'abbandonai.
E, imbottito di psicofarmaci,
nel freddo mio giaciglio,
colpevole, m'adagiai,
già da tempo
depresso e ipocondriaco,
da impalpabile, annichilente
malessere dell'anima afflitto,
al punto di temere
il Mondo, al mio uscio, esterno,
quale folta selva
di velenosi crotali brulicante,
invisibili, ma nell'infida erba
a tratti serpeggianti,
nella debole mia carne
le zanne d'affondare,
avidi e crudeli.
E fu ben strana sorte,
di cui pace non so darmi,
che proprio tu,
unica fra i gatti di famiglia,
da me la più amata,
l'adorata micetta paperella
che io, personalmente,
fortemente volli,
lontana dal mio abbraccio
gli occhi chiudesti,
e non per concordata eutanasia,
ma per repentina morte naturale,
senza che la tua salma
cullata un poco avessi,
dall'inceneritore inghiottita fosti.
p.S.
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versione sonora di una O piu' poesie da me stesso RECitate.
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