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Pubblicata il 03/10/2020
Anni '90. Siamo in Germania, a Bergen Belsen, gentile cittadina della Bassa Sassonia, in cui c’era il famoso campo di sterminio. Lo visitiamo e, con il cuore piccolo così, ne usciamo perdendoci in un dedalo di strade campestri tra alberi smisurati e pianure sabbiose.

Sbuchiamo in uno stradone e vediamo una fabbrica ormai diroccata su cui torreggiava una grande botte di legno mezzo marcio.
davanti c’è una vecchissima roulotte con due tavolini e alcuni cartelli che indicavano i prezzi dei panini che venivano offerti.
Ci fermiamo a mangiare qualcosa.

La roulotte è gestita da due anziane donne che, con grazia e gentilezza, ci fanno sedere e ci portano da mangiare la loro specialità: panini al pesce salato. Parliamo un po’.

Sono due sorelle figlie dell’uomo che ha costruito e diretto la fabbrica diroccata. Si trattava di un centro di salatura e confezionamento di pesce in piccole botti.
Lavorano anche durante la guerra, poi la struttura viene bombardata, loro erano ragazze. Arrivano gli inglesi che liberano il vicino campo di prigionia e loro vengono arrestate (dai tedeschi) insieme al padre e alla madre per sospetta collusione col regime nazista. Il padre muore in carcere dopo pochi giorni, la madre si suicida.

Loro vengono liberate e tornano a vivere in fabbrica in una parte ancora in piedi. Nessuno le aiuta, sono additate come figlie di criminali e non sanno come fare per sopravvivere. Mangiano pesce salato per due anni e vivono con i prodotti di un orticello.
Allo stremo, si rivolgono a un'associazione umanitaria angloamericana, che le aiuta e le fa sopravvivere fin quando a una viene l’idea di rimettersi a mettere pesce sotto sale, in piccolo.

Lo fanno e riescono ad andare avanti. Poi mettono la roulotte sulla strada e fanno panini per i turisti. Sono lì da quarant’anni, nessuna si è sposata.

Chiedo loro: “Sapevate cosa succedeva del campo di sterminio qui vicino?”
“Si, lo sapevamo”
“I vostri genitori avevano delle colpe?”
“I nostri genitori portavano il pesce salato al comando del campo, vedevano e sapevano, ma non avrebbero potuto farci niente”
“Ma avrebbero voluto fare qualcosa?”
Le due sorelle si guardano, e poi una, con un’espressione dura negli occhi mi dice:
“No”.
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Nudo, duro e crudo quel "no", che segna la fine di un racconto iperrealista, uccide sul nascere qualsiasi aspettativa di redenzione. Del resto, nelle pagine più scure della storia, ci sono vittime sono ovunque, da una parte e dall'altra del muro. Il tempo come medico a volte fallisce

il 03/10/2020 alle 12:54

Hai espresso con chiarezza quello che penso anch'io. Grazie per il commento.

il 03/10/2020 alle 13:05

Ho dovuto bere parecchio dopo aver attentamente letto! Uno scritto, dovuto, come testimonianza dell'ingrato ghetto! Sempre prezioso, ogni tuo racconto, Eriot! Sei prerfetto!

il 03/10/2020 alle 15:42

carnefici che diventano vittime, vittime che diventano carnefici, quante volte è successo, quante volte risuccederà, quando latita la coscienza(quasi sempre) tutto si ripete e regna la necessità...piaciuta

il 03/10/2020 alle 16:43

Grazie Sir e Arturo. Ho avuto la fortuna di vivere una vita molto intensa e aver vissuto molte esperienze. La cosa curiosa è che solo ora, ripercorrendole con la memoria, mi rendo conto di quanto, molte di esse, avevano da insegnarmi. Sarà che la vita tambureggiante non mi lasciava il tempo di lavorare, sarà che la consapevolezza derivante dall'età fa capire cose non capite prima, non so.

il 03/10/2020 alle 18:16

Quel "no" finale è una mazzata che fa riflettere sulla natura umana e su quante cose non sappiamo gli uni degli altri.

il 03/10/2020 alle 18:29

Pardon: lavorare= elaborare. Grazie Vincent. Quel "No" mi colpì parecchio.Tra l'altro il giorno prima ero stato a Wietzendorf (che non è distante da Bergen Belsen) dove era stato internato mio padre per due anni nel famigerato "Oflag 83". Lui mi aveva raccontato che alcune persone (la minoranza) erano proprio così, convinte e spietate.

il 03/10/2020 alle 18:48

Lettura che riporta in superficie gli orrori vissuti nell'ultima guerra e, soltanto quelli di una certa età possono raccontare perchè mai dimenticati... io sono tra questi...bellissimo e toccante testo...ti leggo volentieri.

il 04/10/2020 alle 11:49

Grazie Gabri. La memoria è importante in questo mondo smemorato...

il 04/10/2020 alle 12:21

Mi chiamo, mio malgrado, Benito.

il 04/10/2020 alle 19:59

Grazie Ben. Ce ne fossero stati di "Benito" come te...

il 04/10/2020 alle 21:27

Una esperienza raccontata tanto bene da far rivivere un passato dagli svolti indimenticabili...

il 07/10/2020 alle 16:44