Si andrà a finire (attraverso l'incubo dell'organizzato, del controllo assoluto, del computer a scandire il battito) verso la perdita della libera scelta, verso l'impossibilità a lasciare i sentieri tracciati per godere dell'erba attorno ai piedi. Ma ci sono esseri umani, per pochi che siano, che non si lasceranno omologare. Anche solo attraverso le parole di una canzone, di una poesia, le immagini dipinte o l'abnegazione pura nello svolgere il proprio lavoro, terranno testa a quegli artifici intellettuali che affossano la semplicità delle cose care. E chissà che U sennu non possa tornare a riemergere dalla follia.
Credo che il testo denunci una perdita dell'etica collettiva con tutti gli effetti che ne conseguono. La morte, intesa come punto di default e rigenerazione, potrebbe livellare e riproporre, nel tempo, un nuovo livello di coscienza, ma la sua assenza (addormentata in un angolo non si voleva risvegliare) lascia intendere come il sonno della ragione sopravanzi ogni tentativo di ritorno ad una umanità con la U maiuscola.