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Utente eliminato
Pubblicata il 25/04/2020
premessa :
Il testo seguente riproduce con parole assolutamente mie una scena che mi ha molto colpito del film "Belli e dannati" del 1991, per la regia di Gus Van Sant, protagonisti River Phoenix e Keanu Reeves, secondo la mia personale interpretazione che ignoro coincidere o meno con le intenzioni degli sceneggiatori e del regista del film.

Ho visto calare
nella terra umida
di un giorno piovoso
la salma di un vagabondo,
incassata in una rozza bara.

Era un uomo maturo di vita corrotta,
dedito all'alcool e alla droga,
voglioso della fresca carne
di giovani maschi sbandati,
eppure m'incantavo
ascoltandolo recitare a memoria
sublimi versi di Shakespeare.

Intorno al luogo della sepoltura
uno spettacolo surreale,
numerosi giovani compagni
della dura e squallida vita di strada,
dai panni stazzonati e maleodoranti,
noncuranti della pioggia,
inzuppati ormai fino al midollo,
marchettari da quattro soldi,
tossici e bevitori come il defunto,
in preda ad una folle, violentissima agitazione,
scagliavano con disperata furia
oggetti in tutte le direzioni,
cercando tra loro il contatto fisico
breve e intenso,
per poi staccarsi bruscamente,
ricadendo nella più sconcertante agitazione psico-motoria,
ma soprattutto,
urlando all'impazzata,
scandivano ossessivamente il suo nome.

Compresi che,
al di là delle apparenze e delle convenzioni,
nemmeno la morte
del più prestigioso degli Ammiragli,
calato nel profondo mare
dalla sua possente nave
su un affusto di cannone,
celebrato dai boati delle cariche
esplose a salve da impeccabili artiglieri,
fu mai a tal segno degnamente onorata,
perchè c'era appartenenza vera,
e dolore impossibile da simulare,
in quell'assordante, scomposto trambusto,
apparentemente bestiale e sacrilego,
merce assai rara
nelle compite esequie
popolate da eleganti comparse
cariche di altera dignità,
ligie all'atavico protocollo
di scontati gesti formali,
perchè mai la morte di un uomo,
nemmeno il più miserabile,
può passare sotto silenzio,
similmente ad un filo d'erba
quietamente falciato dall'aratro,
altrimenti la stessa vita di noi superstiti
si avvilisce al mero, breve
passaggio per la terra ingrata
di insignificanti creature,
fantasmi invisibili al mondo,
che ingannano se stesse,
placando l'interiore sete di esistere
attraverso illusorie suggestioni
pietosamente autoindotte.
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