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Pubblicata il 11/11/2019
Febbraio 1969. Il prof. di Biofisica mi chiama nel suo studio.
“Il prossimo mese mi devo assentare per un’operazione e anche i miei due assistenti, che lei conosce benissimo, hanno problemi personali.
Si creano due settimane di buco.
Concertando con me gli argomenti, previa una sua accurata preparazione su di essi verificata da me, le propongo di fare 4 ore di lezione ai suoi colleghi.
Lei ha già sostenuto l’esame con me e ritengo sia in grado di farlo.
Si tratterebbe comunque di affrontare temi già abbastanza conosciuti dagli studenti, approfondendoli quel tanto che basta. Ho avvertito il Rettore che si trova d’accordo se queste ore passano sotto il cappello di “ripasso-esercizi”.

Accetto. Passo tre settimane a studiare, ripassare, provare sotto il controllo del prof.
Poi viene il giorno critico. Ci sono un dozzina di studenti, che conosco di vista e già informati della situazione. Mi butto.

In quelle quattro ore scopro cose inaspettate.

Primo: se, al di là della cattedra, lo studente trova uno di loro, il suo atteggiamento cambia in senso positivo. Ricevo attenzione, se sono poco chiaro o impreciso mi viene fatto notare con garbo, mi vengono rivolte domande intelligenti. (Ovviamente avevo davanti materiale umano di un certo tipo e non so dire quanto questo sia determinante).

Secondo: la cosa più importante. Si impara di più, sulla materia specifica, quando si insegna che quando si studia. Lo studio, tout court, è un’azione complessa e faticosa di trasformazione chimica ed elettrica del nostro cervello, l’insegnamento, invece, impone di dare un ordine logico, una consequenzialità e un collegamento ai concetti da trasferire.
Queste azioni realizzano un apprendimento/consolidamento forte e radicato di tali concetti.

Non so se mi sono spiegato, ma è un fatto che gli argomenti trattati in quelle quattro ore ce li ho chiari in testa come cinquant’anni fa. Non è così per tutto il resto.

Un mio amico ex prof., su questo tema, ha fatto una considerazione molto interessante: la scuola farà un grandissimo passo in avanti quando gli studenti (di qualsiasi grado di istruzione) preparati individualmente su un argomento specifico, verranno, a turno e ripetutamente, coinvolti nell’insegnamento di questo argomenti ai loro compagni.
Numerosi insegnanti hanno fatto e fanno attività di questo tipo, ma non basta, il metodo dovrebbe essere elevato a sistema. Non è facile, ma ci si può arrivare.

Qui su ph vi sono certamente persone che insegnano o hanno insegnato. Mi piacerebbe conoscere il loro parere.
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Condivido in toto il suo pensiero! Non sono mai stata un insegnante ma credo che esser investiti di responsabilità didattica sia una strategia vincente per meglio approfondire lo studio e farlo proprio e sia anche un momento molto importante di gratificazione personale. E' quest'ultimo invero ad essere la chiave di tutto: l'auto stima! Imparare a vedersi con occhi diversi attraverso lo sguardo di chi ci è di fronte e ci ascolta è sempre foriero di nuovi stimoli! Chiunque di noi ha esperito l'avventura di studiare in compagnia di un collega o amico e tutti saranno d'accordo sul ricordare di come fosse salvifico ai fini mnemonici spiegare a quest'ultimo concetti indigesti o poco chiari. Saluti cordiali!

il 11/11/2019 alle 12:24

Grazie Rosi, sono assolutamente d'accordo.

il 11/11/2019 alle 17:11

Anch'io condivido il metodo, è molto più dinamico e coinvolgente. Amare una materia dipende anche dal modo in cui si apprende sui banchi di scuola.

il 12/11/2019 alle 06:59