I miei si godevano Roma.
Un'aura vagabonda di allori vissuti,
tripudi scemati, Giochi trascorsi li
invitò all'Olimpico.
Sulla terra rossiccia di quello stadio vuoto riaffiora il mio ricordo. Tra le bianche strisce parallele mio padre mi indusse ad un giro di pista. Protese le braccia, quasi mi volesse lasciar decollare, ignaro e felice, sulla futura biciclettina che ancora non sapevo di voler imparare a domare.
Io non so dire, ora, se scattai tanto veloce da sentirmi incollare agli occhi le lenti scure di Livio Berruti e se dopo ben 42 decametri mi accorsi di non indossare neppure io i calzari di Abebe Bikila.
Ma rammento benissimo che arrivai esausto e barcollante, e forse mio padre mi sostenne negli ultimi metri. Fu così che m'immortalai ad indimenticabile primo arrivato di quella corsa. E sotto l'occhiolino baluginante del sole ricevetti la vera coppa del vincitore: l'abbraccio amorevole di mia madre che, non sembra vero, si chiama Regina.
Altro non ricordo di quel giorno.
dedicato a Dorando Pietri
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