Che sai mai
tu ch'al cosmo normal ti pavoneggi e decanti
del regno che nell'alma mia riluce?
daga di cuor forse mai serbasti
ch'in me folle d'orazion divina coglier potesse l'imago
instranito sempre il guardo tuo mi riservasti
sanza aver di me cura, sol con violenza di drago.
ma chi l'insan morbo più reca, or di'
colui il qual legger non sa l'imperfezion sua
e l'altrui dileggia
o forse chi tu nomini pazzo
nel qual gioia di viver intonsa anco se talor ignara echeggia?
rantolar ci scorgi in fetidi manicomi
tra occhiate a volte indifferenti d'infirmieri
come se 'l viver nostro annoverar mai potesse aromi
che nel cor guizzanci o in sembiante di pensieri.
di volar illusi, orfan di fren urlanti
di quest'esister che pur ci menomò siam festanti
e tu ascoso a tener t'ostini in un buio cassetto
ciò ch'a noi tu devi, 'l sacro e german rispetto.
legati ancor ci vedrai in maleodoranti letti
e abbracciar la federa de' nostri cuscini
con incontaminabil innocenza di pargoletti
con carezzevole purezza di bambini.
baciò e anche noi bacia, tu 'l sai, madama dignità
che niuna ombra di demon di perfidia scaccerà
e allor a noi tendi sanza timor la mano
e insiem ci librerem di letizia qual farfalla o aeroplano.
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