-Non trovo rifugio ch’ella non vinca
quel fascino appassito alla nuca
clessidra innocente al levitar mesta
spalliera addormentata alla sera.
-Irraggia mille riflessi argentei e desta
corone di funambolici flutti a volta
carosello d’astri e rinnovati passaggi solitari
ondeggianti sinuosi fiordi di malia.
-Impetala laghi di stelle ad intarsio
la sua lama in fiumi d’indistinto morso.
-Vola favola antica, molleggia piuma
muove guttusa l’infantile saggia
lanterna primigenia, fiamma al soglio.
-Ritrae e luna e cosmo ad ali di cigno
danzano un tempo a schizzo d’incanto
bimba di rugiada saltellante
sul primo gemito d’un prato neonato.
-Improvviso invade l’inferno di dio
filo spinato, dolore incarnato a retaggio.
-Atavici mostri deformi rincorrono
scheletri inermi, volti ondeggianti
valzer al memento di ceneri fumanti
evocando un tempo digiuno
di bellezza e sogni in pianto.
-Vedova eredita il mio dolore,
lapide senza nome e vasche sacre
maestosità d’anime scevre di dimora
lacrimanti speme antenate di muto calco.
-Tu, anima solitaria incanti, culli, stiletti e danzi.
-L’arcano tuo manto staglia lesto
il domani al suo infausto condono
rifulge candori ad orlo d’uomo
e piange l’universale d’infinito cosmo.
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