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Pubblicata il 26/08/2017
Lento m’accorre in seno pungendomi il cuore
lasciando traccia indelebile nella carne
cuocendo nell’orrendo sfrigolare il grasso peccato
e andandosene nell’olezzo grigio e pungente degli anni.
greve m’appare in mente al finir del giorno
come canapa che brucia al buio in poco olio
consumando l’aria triste e melanconica di sotto il naso
e spegnendosi d’un tratto appena l’antro s’apre.
il fresco mattino cade sulla groppa del sole e se lo porta lontano
come languida foglia al vento d’ottobre
che di maggio ritorna al cielo per esser nutrita.
e tu che con gli occhi vitrei e irti di gioia sussurri paura
cantando soavemente la pia nudità dei sensi,
infrangi il muro di scherno col battito di ciglia
mostrando gli argentei muscoli prima del cuore.
le pietre funeste sono ignavi macigni roteanti,
sono orbite lunari lo sfiorarsi di dita e maree,
labbra che si sfiorano tra le stelle cadenti
e il lucido riflesso della chiara pelle setosa.
il rosso tramonto avvolge pacchiano
al culmine dell’estasi e una stretta di mano.
non resta che il gusto di te sul palmo della mano.
l’amaro del caffè e una goccia di limone negli occhi.
l’occhio di vetro non piange adesso. E’ troppo tardi.
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Oh, una poesia, una bella poesia...

il 26/08/2017 alle 20:25

Davvero avvincente

il 27/08/2017 alle 14:20