raccogliendo a mani cave le formiche
che sgorgano dalla mia corona di rose
sento prudere la fronte
per le lische del sole
posso mangiare questi insetti lucidi
sgranocchiare
sentire il caffè come un fiocco di serpi
in visita alle costole
la sabbia che sibila, fischia i motivi.
il fiume dà colpi di reni sotto il
ferro brillante dei ponti, i diplomi
di perfezionamento crepitano
sui muri, come la camicia a scacchi
sul torso liscio come un osso,
una strategia di ombre spesse e fredde come triglie
si abbatte dalla sagoma smagrita delle scale
sul cemento sordo e duro del cortile.
un foglio stampato a caratteri storpi
ronza nel vento come un coleottero in via d’estinzione.
io sono il tonsore di questi raggi di sole,
il concavo profilo del pattume.