PoeticHouse - Il Portale dei Poeti e della Poesia
Pubblicata il 01/02/2015
Dopo il primo litro di 1816, lì, oppresse nella sala fumatori, a destra Max, il fotoreporter belloccio, a sinistra Tina, la cameriera del Marco’s a parlottare con la mamma sporty-girl di uno dei miei alunni di prima, checché se ne dica, Livigno è anche questo (!), impregnate di Camel e Marlboro, che anche l’osso sacro ha cominciato a tossire tra le note stonate delle due svedesi sul palco che manco le veline, quella s’è girata verso di me, guardandomi dritta dritta nelle palle degli occhi, e ha esordito meglio di papa Francesco col suo Buonasera!, ha sentenziato con un apocalittico “Mi sento vecchia!”. E che cazzo! Niente di più abominevole poteva uscirle dalla bocca in quel momento. Ma era triste, e si vedeva. Lo diceva sincera e si percepiva come l’attacco di diarrea che ti prende in piena notte se hai esposto il tuo corpo a meno 20 gradi dopo aver bevuto un’intera bottiglia d’Avvocata all’Ypioca con lo sconosciuto di turno. Così, con noncuranza, mi sono rivolta a lei e, guardandola anche io negli occhi, senza darle il tempo di pensare a cosa blaterare le ho detto “Cazzo, Lucì, ma ti rendi conto che tu ti senti vecchia e io, intanto, stamattina, nel pieno della mia incoscienza sonnambula, dopo aver pisciato, al freddo dell’acqua del bidè, mi sono accorta che mi sono usciti tre, non uno, dico, tre peli bianchi sulla patata!?” L’ho fatta ridere a Lucia, tanto da avere le lacrime agli occhi, che si mischiavano amaramente all’umido delle lacrime trattenute sino a quel momento. Abbiamo riso tutte e due sguaiatamente. Sì, io rido delle mie battute. Ne vado proprio orgogliosa, anzi. Io, quasi 31 anni, ho tre peli bianchi sulla patata. Domattina cinque lunghe ore di lezione e, intanto, a cazzeggio con la mia collega-coscritta a bere ‘na cosa accompagnate da due quarantenni padri di famiglia. Ma, nonostante l’improvviso biancore scopertomi sulla patata, che manco ‘na candida dopo aver usato i cessi dell’Intercity notte, e nella smania dell’agognata pipì, lasciandoti andare ad un rispettoso sospiro di sollievo, malauguratamente in curva, la tua chiappa destra si è poggiata giusto giusto un millesimo di secondo sul water e giù di lì, non sto a spiegare, io, vi dirò, non mi sento proprio per niente vecchia. E che cazzo! Certo, sono, là per là, rimasta attonita e sconvolta dal fatto, ma, insomma, il tempo di prendere il caffè. Quasi 31 anni. Mi guardo intorno, nei luoghi ameni che frequento, e osservo l’esistenza precaria da cui sono circondata: dai 13 ai 50 anni vedo solo persone digitalizzate. Prima le dita erano nientepopodimenoche (!) la parte in assoluto più sensuale del corpo, che, ben usate, capaci di compiere meraviglie, a letto. “Giovani le cui dita sfiorano più touch-screen che volti”. Più che vecchia mi sento antica tuttalpiù. Io che cammino la sua musica. Che ho scelto un baretto fuori zona per andare a scrivere nientedimeno che poesie. Io che assaporo e divoro (e non sempre in quest’ordine). Io che “Cazzo, adoro il mio lavoro!”. No. Non sono vecchia. Sono antica. Anzi, sono proprio fuori moda. Sorrido troppo per essere alla moda. Quasi trentuno. Curiosa manco un cucciolo di 40 giorni. Sono curiosa dal naso. Prima il naso. Poi la bocca. Naso-labbra-bocca-voce. Questi sono i miei sensi, governati dall’istinto. Trentun anni quasi. E pure innamorata! Ma, dico io, come ci si fa ad innamorarsi a 31 anni!? Eppure, eccomi qui, come un 15enne in pieno subbuglio feromonale, a pensarlo e sognare ad occhi aperti le meraviglie. Me lo prendo tutto questo innamoramento ché so, finirà presto, e invece la sensazione è bella. E mi prendo pure tutto il masochismo insito di un amore che rimarrà irrealizzato perché, diciamola tutta (e diciamocela!), io, ahimè, sono fatta così. Un animaletto selvatico che annusa e passa oltre, incuriosito da mille e uno odori sempre nuovi. Forse un giorno la chiamerò solitudine quella che oggi chiamo inorgoglita libertà. Ma tanto il domani tarda sempre ad arrivare. Ed io, intanto, un po’ innamorata, in questo baretto fuori zona, ed è bello così. “Prof, ha un cuore sulla guancia!” E davvero me lo sono disegnata il cuore. Ma non l’ho fatta apposta. Una delle tante rispettose cicatrici del mio corpo. Morsi finanche dentro le mutande con le scimmiette (quelle grigine, scimmietta-banana-scimmietta-banana, te le ricordi!?). È un corpo speciale il mio. Un’antica carta geografica di quando il mondo era piatto. Una mappa del tesoro, e il tesoro è sempre quello. Questo è il mio corpo a quasi trentun anni: cicatrici manco fossero trofei da mostrare. E l’ombelico triste. Ebbene sì, c’ho l’ombelico triste io. Triste perché gli mancano i baci. I suoi. Mica degli altri. Soltanto lui è capace di strappargli un sorriso all’ombelico che profuma di vaniglia. Giorni fa. Era notte. Cammino. Seguo le orme di un cane sulla neve. Quasi lo vedo. La mia solita andatura da bambina. Passetti svelti e culetto all’insù. Le ho perse. Chissà dove si è nascosto. Proseguo avanti. Il cielo è rosa antico. La neve. Sempre quella. A Livigno, entrando in casa, non smuovi la sabbia dalle infradito, ma la neve dagli scarponi. Però il cielo è rosa antico. Orione mi cinge in un abbraccio e mi riscalda. Sorrido. Ho deciso così. A casa mi aspetta Bananito, il cactus africano, che ancora non capisco per quale motivo me lo abbia regalato (ma capisco che, senza dubbio, faccio bene a non accoppiarmi socialmente!). La neve. Sempre lei. Un bicchiere di Guardastelle (perché sono troppo chic col calice in mano!) mentre mi spalmo i seni di calendula. Mi addormento facilmente di fianco alla voce che mi attendeva trepidante. Io, la voce, le lacrime. Strette vicine. Nel letto sempre troppo grande per tutte e tre. Allora, prima di rovinarmi la giornata, che, nonostante tutto, è nata bene, prendo d’impulso il cellulare e rispondo ad uno a caso, magari quello che mi ha fatto dimenticare un istante in più di lui. Ho imparato a piangere in questi mesi. Ho imparato a piangere tra il rumore delle persone che mi sfiorano per strada. In silenzio. Sei la mia preghiera segreta, dopotutto. Ti nascondo dentro, in fondo in fondo. Non voglio sciupare il mio segreto. Non voglio sciuparti. Mi basterebbe sapere che, qualche volta, nel profondo, tu mi abbia tenuta nascosta per non sciuparmi. Pausa. Rino nelle cuffiette. E allora non si scrive. Rino si vive. Calpesto le viole e quelle sfioriscono, anche se un accenno di primavera si ascolta in silenzio anche a Livigno.

(un anno fa)
  • Attualmente 4.16667/5 meriti.
4,2/5 meriti (6 voti)

Una prosa seducente e mordente! Bisogna avere tatto nel leggerla quanto ve ne è voluto nello scriverla! Particolari spunti iperbolizzanti e fisiognomici! Complimenti, Frida! Un saluto affettuoso da Sir Morris

il 01/02/2015 alle 11:45

Avevo già letto (e apprezzato) questa tua sotto un altro titolo. Comunque...mi piace ciò che pensi e soprattutto il modo in cui lo dici...senza peli sulla lingua. Brava. Anna

il 01/02/2015 alle 13:13

grazie sir.. sempre gentilissimo! un bacio

il 01/02/2015 alle 13:30

Ciao Anna! Devo dire che ho deciso di ripubblicare questo testo quando ho visto stamattina che aveva colpito la tua attenzione.. è stato scritto giusto un anno fa (sarà un caso?) fatto sta che rileggerlo mi ha rimesso in moto una serie di sensazioni che prendono tutto l'arco di questo anno... e così.. rieccolo qui.. con un titolo che non è espressamente il suo ma che, senza dubbio, rispecchia il mio stato d'animo di questa domenica. Grazie mille! A presto! francesca

il 01/02/2015 alle 13:37

...l'ultimo titolo mi piace più del primo :-). Riguardo al caso...ho sempre pensato che nulla avviene per caso...chissà poi cosa voglia dirci. A presto, sì. Anna

il 01/02/2015 alle 15:30

Gajarda come dire non arrendersi mai ,e forse rimanere fuori moda non e' cosi' triste,un salutone

il 02/02/2015 alle 17:08

Ciao piccolina, anche io ricordo questa magnifica prosa e ti ho vista, sentita e riconosciuta. Un forte abbraccio sempre e per sempre pattycara.

il 03/02/2015 alle 17:15

grazie paolocci! e.. patty... tvb

il 04/02/2015 alle 19:17