Ora che il giorno è pregno
d’un vomitare di voci svuotate d’intelletto
e un circolo di venti lingue
s’impasta nel balbettare inutili condanne,
m’inventerò una notte nuova,
priva del sogno che chi comanda è giusto.
m’affiderò al primigenio cielo,
quello che un Dio distratto pose a creazione,
per carpire un seme, uno soltanto,
da dare a semina al prato delle uguaglianze
ch’ora non ha contadini a dissodarlo
ma venditori di carne a renderlo un deserto.
la inventerò per darmi pace,
per sovrastare degli illuminati il parlottio
che scorre a vuoto tra le ore,
che di tutto farfuglia e su nulla poi risolve,
la costruirò anche se è giorno,
nel buio forse dei morti non udirò la voce.
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