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Pubblicata il 25/10/2014
Avevo perso l'ultimo bus , scherzi tra amici adolescenti ,quattro parole e per colpa di un conducente ligio ed in anticipo dovevo farmela tutta a piedi.
avevo cinque chilometri davanti a me , bavero alzato , sigaretta in bocca, mi incamminai.
la strada buia e trafficata in quel sabato di ottobre mi sembrava sconosciuta , disabituato a vedere ombre e luci da un prospetto pedonale; eppure quante volte avevo percorso quella strada , migliaia .
era inevitabile che solo infreddolito e stanco in quel tratto di strada i pensieri volavano a te e al tuo volto. Ti avevo perso solo tre mesi prima, in una calda giornata di estate. Con il tuo motorino ritornavi a casa e un autista di mezzi pesanti non ti vide e ti schiacciò, letteralmente. Io sono forte ,io sono oltre... mi ricordavo quanto cercavo di rassicurare e compatire gli altri quando l'unico da compatire veramente ero io con i tuoi familiari.
al funerale non avevo pianto, stoico , imbambolato salutavo tutti come un automa, non riuscivo a pensare e reagire. Affretta , affretta il passo che lasciamo questa strada, questo buio e questi pensieri. Oramai ero arrivato a metà strada , in mancanza di fortuna iniziò anche a piovere, quella pioggerellina umida autunnale , che entra nelle pieghe dei vestiti, che entra nelle ossa.
la domenica dopo la tua morte portai un saluto e due pasticcini ai tuoi genitori e a tuo fratello, chissà perché quell'idea, una quasi festa di saluto. Mangiammo i pasticcini e tua madre pianse, giocammo in cortile a calcio con tuo fratello e tuo padre nascosto dietro i vetri ci guardava piangendo. Da allora non ero più tornato ,chissà perché mi tornavano in mente i pasticcini . Finalmente tra le luci abbaglianti delle macchine e quella pioggerellina invadente vidi le luci di casa, dai forza, siamo arrivati ancora due minuti e questa sera è anche finita. Il tuo volto era più bello che quanto fosse realmente, chissà perché ti ricordavo meglio di quanto eri, mentre mangiavamo in classe di nascosto la scolorina, mentre ti tenevo la mano al parco, quando mi dicesti che il nostro amore era bello e grande, beati sedicenni, che non avresti voluto altro che starmi vicino per sempre ,anche se puzzavo di sigarette. Finalmente casa, un brivido, forte, quasi un mancamento, mi appoggiai al cancello di casa .Dalla finestra mia madre con il volto preoccupato per il ritardo, mi salutò, così con la mano. Io ero impietrito, per colpa di un bus perso, un po' di pioggia e umidità e una strada buia avevo materializzato ,alla fine, che non ti avrei mai più vista. Mi feci forza, alzai il bavero ed entrai : il tepore sul viso della casa mi aiutò a superare quel disagio, un saluto veloce con una breve spiegazione e velocemente in camera. Due minuti ed ero coricato , due minuti e avrei dormito; era alla fine, quella sera , sul cuscino rimasero lacrime copiose e dense di un passato che non tornò più, avevo realizzato la parola fine . Era inevitabile.

da Scritti dell'anima 2013 ( prima stesura 1984 )
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Stupendo racconto! Struggente.. emozionante! Mi spiace davvero tanto, Tatosam! Sir Morris

il 25/10/2014 alle 12:39

nel percorso di vita di ognuno di noi ci sono ferite che non rimarginano e ritornano, anche dopo tanto tempo un sorriso

il 26/10/2014 alle 08:42

Farsi del male è anche dimostrare d'essere crudeli con una incessante sequela di immagini che non leniscono il dolore, ma aiutano a distinguere tra passato e presente, librandosi in uno strano equilibrio esistenziale per continuare ad amare chi si è perso. Non è inevitabile ricordare, è indispensabile. Piacere di averti conosciuto e letto.

il 27/10/2014 alle 09:10

Stupenda e avvincente lettura, Patty

il 29/10/2014 alle 06:40