A Marco
con i mesti compagni di allora,
scendo la strada irta e pietrosa,
del borgo che ti fu grembo
e verso gioie altre ti vide salire vigoroso,
mentre ondeggia il tuo legno di faggio,
fra i nostri capi ricurvi.
orizzonte si fa il tramonto tra le tue colline,
nella luce diurna che si quieta,
ed io, muto, inseguo aerei pensieri,
sentieri contorti dell'anima,
edifico dighe razionali al fiume di pena,
che tracima indomito sul cuore.
tesso memorie.
non ho seguito il tuo cammino
negli anni che il tempo ci ha donato,
ma lo riscopro negli occhi tristi dei figli derelitti,
nella tua fulgente eredità,
nelle sembianze loro in cui rivedo la tua giovanile effige.
fosti il primo, allora,
che mi tolse alla puerile timidezza,
per mostrarmi il braccio forte dell'adulto.
scendevamo, in quel tempo,
i percorsi dubbiosi e aperti dell'adolescenza,
e ancora oggi il tuo ricordo ne rinnova il mito.
di nuovo il primo sei
a varcare la soglia del silenzio,
in questa tiepida sera,
mentre il tempo nostro si torce ancora
e naviga su stagioni inquiete e sconosciute.
la terra ti sia lieve,
compagno mio,
come questa brezza di prima estate
che mi accarezza il viso:
è la tua mano, lo sento.
anche nella notte eterna,
sono certo,
i tuoi occhi
sogneranno ancora
la nostra primavera.
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