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Pubblicata il 12/03/2013
A tutti gli Hurbinek, figli della morte (p.levi)

alla miseria di un eroe
“un uomo che salva una vita salva tutta l’umanità” (Schindler’s list)

improvvisamente quel frascheggio che echeggiava nella sua mente svanì.
si svegliò a giugno da quel torpore che ormai da troppo tempo lo aveva paralizzato.
sino a quel giorno aveva vegetato nell’attesa di quella risposta e puntuale come un necrologio arrivò.
prima di allora, nonostante la tipica plasticità di ogni cervello umano e la fervida attività sinaptica che ne
consegue, il suo, emanava pochi stimoli ai quali il corpo rispondeva sempre nello stesso identico modo:
mangiare-bere-lavorare-dormire.
ma, il 21 giugno 2006, il vento vomitò così forte che tutte le foglie rinsecchite caddero giù in un istante.
ci fu il silenzio in quell’istante, un silenzio così assordante che fu paura.
ma l’orgoglio ruggì più forte e il sangue in lui rifluì di nuovo nel cuore. Batté forte quel cuore malato di
malinconia. Avrebbe voluto chiamarla e gridarle che l’amava anche se stava andando a morire. Ma di nuovo
quel ruggito gli graffiò la schiena e lo paralizzò. Questa volta però quella lumaca terminava di lasciare i suoi
lenti strascichi e decideva di fare un balzo nel nulla.
dovettero passare cinque mesi prima della partenza e quel ragazzetto di 23 anni che di più, per lui stesso,
non aveva osato sperare, si preparava con diligenza imperiale, faticando corposamente, durante quei
lunghi giorni d’attesa.
paura adrenalinica di giorno. Paura morbosa e battagliera di notte.
eh sì! Perché, la notte, il leone tornava ad essere quella noce a cui altro non importava se non del suo
guscio. Il buio lo accecava a tal punto da non riuscire a prendere sonno, mentre il leone che era in lui
sonnecchiava beato sognando la gloria. I suoi occhi spalancati e le pupille dilatate si chiudevano all’alba per
riaprirsi all’aurora. Il buio lo rendeva vittima di se stesso; il silenzio lo faceva vagare nelle sue memorie più
profonde.
chi gli era accanto non lo capiva, o, forse, aveva semplicemente bisogno di un abbraccio forte e caldo che le
dicesse di non avere paura per lui.
ma si era disegnato una maschera in faccia di orgoglio, e rispetto, e autorità, così pesante addosso che, in
realtà, sembrava quasi portarla da sempre.
arrivò novembre, preciso come la pioggia di ferragosto.
quel 28 novembre, a lungo atteso, sapeva di pertosse, sapeva di latte acido, sapeva di un clochard in
smoking, sapeva di tutte queste cose insieme…
(provate, voi, a immaginare un clochard con la pertosse che sorseggia latte acido vestito di tutto punto!).
il leone taceva, imbarazzato e titubante, ma fremeva salendo su quell’aereo che, se fosse andata bene, lo
avrebbe riportato a casa dopo tre mesi.
era un aereo civile, scomodo e grottesco, oltremodo fuori luogo in quella condizione mimetica e torrefatta.
di quegli aerei in cui viaggiano gli uomini d’affari e le supermodelle oppure, che ne so, la gente che va alle
maldive o a Ibiza o dovunque, ma non lì dove, quel giorno, quella stravagante macchina soldatesca si
dirigeva.
i posti non erano assegnati, come se qualcuno gli dicesse:
“nel tuo occidente ti sei sempre lamentato di essere soltanto un numero; qui sei a malapena, quindi dove ti siederai
non conta!”
“B. sei sempre l’ultimo!-gli gridò il tenente-non ci sono più posti. Ti siedi accanto a me”.
“Signore, in realtà, non vedevo l’ora di fare friki-friki con lei, signore!”.
come d’incanto tutti scoppiarono in una grossa risata, di quelle che corbellano con la “E” e non con la “A”.
era liberatoria e pensierosa allo stesso tempo: era uno scoppio di pianto tramutato in riso.
lo stesso pianto, imbarazzante e triste, che ci accompagna nel nostro primo giorno di scuola, quando la
mamma ci lascia la mano e si allontana.
e così l’aereo partì.
quel ragazzo dolcissimo e buono rimase in silenzio per 13 ore di viaggio, annuendo di tanto in tanto col
capo senza in realtà ascoltare, se non il tenue battito d’ali dei suoi pensieri che andavano alla sua famiglia,
alla sua fidanzata, e, forse, anche a lei…
avevano cinque lunghe ore di ritardo quando atterrarono nell’aeroporto di Herat.
era mezzogiorno ed erano tutti sfiniti.
dentro di lui ululavano flebilmente suoni indistinti. Si sentiva perso e disorientato mentre distribuivano le
armi e i giubbotti antiproiettile.
in fondo quel ragazzo lo aveva sempre saputo perché aveva deciso di partire. Lo sapeva da quando aveva
18 anni. In Italia aveva creduto di saperlo: ché la tranquillità economica è una merce assai rara da quelle
parti. Ma, giunto dall’altra parte del mondo comprese in fondo la sua miseria: quella di un uomo che crede
orribilmente e con tutti i peli del suo corpo rizzati; un uomo che crede nella pace.
“Caricate le armi e mettetevi nel mezzo!”.
erano le otto di sera e di nuovo l’imbrunire risvegliava gli animi pietrificati, mentre si correva a 90 km/h per
le strade di quella città oscura ed ostile, quanto poteva esserlo uno sconosciuto che bussa alla porta delle
nostre case in un orario insolito. Quella città metteva in guardia; gli sguardi di quella gente erano
posaceneri stracolmi di mozziconi spenti ma forti nella loro fiera consapevolezza che
il fumo uccide.
quella mattina, si era lasciato morire, nell’aeroporto di Herat, un kamikaze, uccidendo due poliziotti
afgani, riusciti a non far dilagare la morte.
quell’aereo, quel giorno, fece cinque lunghe ore di ritardo.
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Brava

il 12/03/2013 alle 13:18

grazie

il 12/03/2013 alle 13:26

un uomo che crede nella pace al giorno d'oggi,sembra un miraggio,dato che la guerra è sempre un propenso di guadagni per molti,e nemmeno la si condanna più di tanto ormai.Bello soprattutto il contrasto interiore del personaggio,tanto che sembra che l'unica pace in cui non gli viene di credere sia la propria,con il leone messo in gabbia da un timore più che umano.Ne uccide più questo del fumo,almeno da un punto di vista dell'essere.Brava:) ciao

il 12/03/2013 alle 13:58

grazie pako! in effetti ogni riferimento psicologico e metaforico è in continuo contrasto.. parlare di guerra, in effetti, mi crea disagio e mi spacca a metà.. non riesco ad essere mai del tutto obiettiva..

il 12/03/2013 alle 14:42

il fumo uccide diciamo e' vero,pero' mi sono immedesimato' talmente tanto in questa tua poesia che mi sono commosso per il ragazzo ,ora io mi domando e ti chiedo, e' frutto della tua vena poetica o c'e qualcosa di piu' cioe' un esperienza diretta o indiretta, mentre la leggevo mi sembrava di viverla e' vero che sono strano pero' questa poesia e' qualcosa di particolare grazie ciao

il 12/03/2013 alle 16:17

nn so cm tu abbia fatto.. ma qst è il racconto che mi fece il mio ex del suo arrivo in Afghanistan la prima volta che partì.. io l'ho soltanto reso più narrativo, più poetico.. e, per la cronaca, questo è uno dei motivi che ha concluso la nostra storia.. nn sn così forte da reggere tutto questo, moltiplicato per anni di carriera militare..

il 12/03/2013 alle 17:14

cara frida se mi permetti, io faccio l'elettricista in un mondo diverso lo chiamo io, ho visto 16 bare tornare da li o il cuore di pietra e pure non ti racconto le emozioni che mai avrei voluto vivere tutti i gioni incontro ragazzi giovani che con traumi vengono ricoverati all'ospedale ed essendo di paesi lontani non hanno una mamma o un papa' che li va a trovare e sono fortunati se qualche collega gli chiede ti serve qualcosa , io stesso porto il vassoio del pranzo ha chi e' nel letto con la febbre . io non so il tuo ex che tipo era ma se era un esaltato ti do' tutta la mia solidarieta' ti saluto senno' scriverei cose cattive sullo stato ciao

il 12/03/2013 alle 17:53

questo ti onora e sono contenta di averlo scoperto.. sei un brav'uomo paolacci.. e per quanto riguarda il mio ex nn è il caso di impelagarci in discorsi che ti farebbero indignare.. lo era, cmq.. sembra una frase fatta, ma un paio di esperienze passate, mi hanno fatto capire che l'esercito davvero ti fa il lavaggio del cervello.. io, poi, non credo proprio in quello italiano.. è un dispendio di forze economiche e totalmente inutile.. il mio ex era davvero convinto di poter aiutare, e questa poteva essere una cosa buona, ma era convinto anche che erano necessarie sempre e cmq, in ogni posto, armi e tute mimetiche.. figurati se io potevo attendere cm una brava mogliettina il soldato, facendo la calzetta.. non sn il tipo.. ma ci ho provato e ho provato davvero paura e compassione quando ho scritto la storia.. ma qst prescinde dalle mie esperienze personali..

il 12/03/2013 alle 18:11

su questo hai ragione non servono armi e mimetiche ovunque , ma io ho visto molti di quei ragazzi spalare la neve ,rovistare sotto macerie certo e' una parte irrilevante di cui non diventeranno mai eroi, e tu devi vedere quella parte silenziosa non devi vedere mercenari ovunque, in quanto per il lavaggio del cervello ti garantisco che se vieni dal mondo dell'lavoro nulla potra' mai cambiare la tua idea e avrai qualche problemino , risolvibile con capacita' lavorative, e' quello l'esercito che vorremo quello che aiuta i cittadini di cui mai si parla perche' anche essi vengono assunti con contratti precari e 900 euri al mese scusami non difendo nessuno ti fo' conoscere una realta' ciao

il 12/03/2013 alle 18:38

sul fatto che l'esercito sia di grande aiuto all'interno del nostro paese sono convinta anche io.. è tutto il resto che mi obbliga a pensarla diversamente.. quello del racconto è davvero un'eccezione, ma la maggior parte di loro partono da veri incoscienti obbligati dalla precarietà in Italia.. sono del parere che il nostro esercito non sia preparato a vivere determinate situazioni.. grandi e forti giovani che davvero potrebbero essere impiegati, come tu stesso affermi, in situazioni drammatiche, come nostri eroi di ogni giorno, vengono spediti, per pure mere politiche dove, invece, non solo non servono a niente, ma, essendo impreparati, rischiano la pelle senza capire realmente il significato di quello che stanno andando a fare..

il 12/03/2013 alle 20:48

brava e' come un grande teatro se non c'e l'apporto di tutti l'opera fa flop , li succede questo chi va per sistemarsi 1 missione stop, e chi invece fa molte missioni . sapendo di dove sei posso parlare per ore e ore probabilmente avro' conosciuto quelle persone non dico la tua, ma mi riferisco al reparto di appartenenza,perche' abbiamo avuto scambi su tecnologie dei gruppi elettrogeni, la guerra e' sembre sbagliati i morti li piangono i cari, i proffitti li prendono i politici,bisognerebbe trovare una terra di mezzo dove tutto cambia sinceri saluti

il 12/03/2013 alle 21:06

stiamo sognando vero paolocci!? e quei poveri ragazzi sn i burattini di qst teatrino! un bacio a presto francesca!

il 12/03/2013 alle 21:11

sono sicuro che e' solo un sogno e finira' presto ciao

il 12/03/2013 alle 21:13

scusami se nel dialogare ho fatto riemergere qualche tuo brutto ricordo , domani e' un altro sole ciao

il 12/03/2013 alle 21:22

nn ti preoccupare.. come dici tu i sogni prima o poi finiscono.. e anche gli incubi! nn avrei pubblicato se nn fossi stata in grado di parlarne.. un bacio a presto :)

il 12/03/2013 alle 21:25

Cara Francesca, ho letto con attenzione i tuoi versi e poi il dibattito con Paolo. la conclusione è che siete, davvero, due belle persone! Baci patty

il 13/03/2013 alle 07:38

Nessun commento è più descrittivo del mio tremore, del mio fiatone alla fine della lettura!

il 13/03/2013 alle 11:57

cari amici lontani eppure così vicini vi ringrazio.. siete molto dolci con me.. le vostre parole così gentili.. spesso mi illuminano le giornate.. un forte abbraccio collettivo a patty, fabio e voce (che nn so xké ma nn riesco ancora a chiamare x nome!:) a presto! francesca

il 13/03/2013 alle 22:41

brava Francesca. ho letto con attenzione. sei brava. la rileggerò. abbraccio.

il 18/05/2013 alle 19:38

grazie gianni! sei gentilissimo! ti abbraccio forte francesca :)

il 18/05/2013 alle 21:13