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Pubblicata il 07/09/2001


IL sangue del Sicomoro


Il sottobosco era fresco ed ombroso gli alberi di melograno, riempivano la mente di Ashia con i dolci ricordi dell’infanzia, l’intenso profumo del muschio misto a fiori, si poteva respirare lentamente,
era stanca avevo vagato per alcune ore alla ricerca di more e fragole e nel raccoglierle ne avevo fatto incetta, la sua golosità era sazia, ora avrebbe desiderato solo un giaciglio sul quale distendere le stanche membra.

Aveva abbandonato la compagnia dei suoi amici, il pic nic non le dava le sollecitazioni giuste, si annoiava, pertanto con una scusa era sfuggita alle chiacchiere futili, così come lei le chiamava.

Amava girovagare senza meta, non temeva mai di perdersi in quel bosco, i suoi sentieri erano fitti ed intersecati ma aveva sempre avuto la sensazione di conoscerli.

Intravide nei pressi di un sicomoro un cespuglio di erba alta e lucente.
Lo raggiunse ma prima di stendersi, fu colpita da una frase scolpita sull’albero

“Era uno degli angeli più belli,
già solo la sua voce era melodia per me,
ma un angelo non promette celi,
non crea legami incatenanti,
non vuole la tua anima”

Nel leggere quelle parole Ashia, poggio le mani sul tronco, voleva sentire l’energia attraversarle la pelle, ad un tratto le parve di cogliere in lontananza una musica dolce, sembrava provenisse dal passato, talmente era delicata e riposante che desiderò di chiudere gli occhi per un istante, immediatamente li riaprì al sentire risa e canti, il paesaggio le apparve mutato, bellissime fanciulle si rincorrevano in un tempio di pietra antico, dove zampilli d’acqua cristallina esplodevano da fontane scolpite, cesti di frutta colmi adornavano tavole in legno e un profumo intenso di fiori, dava il capogiro, completava il quadretto idilliaco un laghetto a specchio dove centinaia di fiori di Loto gli facevano da cornice, Ashia era una spettatrice incredula e non vista, al centro di una festa antica.

Ad un tratto, l’idilliaca visione fu interrotta, sembrava che il cielo fosse improvvisamente imbrunito le fanciulle smisero di gioire cominciarono a correre urlando di paura, all’orizzonte apparve un esercito di centauri, esseri metà uomo e metà cavallo, le loro intenzioni non sembravano pacifiche, a capo del gruppo c’era Euripide, i suoi occhi erano fieri e decisi, le sue spalle larghe, i suoi movimenti sicuri,
Ashia dovette ammettere che nonostante il timore che incuteva era di grande fascino.
Euripide comandò l’attacco e tutti si riversarono con furia cieca verso le fanciulle,
i suoi occhi avevano già scelto la preda e non avrebbe cambiato idea,
il suo nome era Arianna, la più giovane del gruppo,
la povera sventurata nel fuggire aveva scelto un viale senza altre uscite, e si era ritrovata da sola faccia a faccia col centauro,
ad Euripide gli bastò uno sguardo per renderla mansueta, era uno dei suoi poteri,
poi non le usò violenza ma con l’arte della parola la trasse nella sua trappola, tanto che la fanciulla gli si concesse per amore.

Furono dieci ore di interminabile passione, ma concluso quello che per Euripide era un rito, lasciò la povera sventurata in terra, sporca, nuda e piangente, le sue grida riecheggiarono per tutto il bosco, non avrebbe potuto vivere senza di lui, ma il centauro non si voltò, nemmeno per un secondo, era già pronto a correre verso una nuova preda da circuire.

Arianna, disperata prese un ramo di Sicomoro, e si trafisse il petto, il suo sangue scese copioso irrorando la terra,
da li nacque un bellissimo albero di sicomoro e sul suo tronco apparve una scritta, ora capivo il senso di quelle parole.

Mi risvegliai, sull’erba alta poco distante dal sicomoro, la visione mi aveva lasciata scioccata, ma avevo colto il senso, non tutti vivono percorrendo la strada della comprensione e dell’amore, molti approfittano dei sentimenti puliti per ottenere il loro vuoto resoconto.

Scrutai nella mia anima e nella mia vita, riconobbi quegli occhi che tanto mi avevano colpita, quelle parole che tanto trascinavano, era tornato a mietere vittime, ma stavolta la preda,
non era incauta non era ingenua,
aveva saputo riconoscere la sua nera trama.

Ashia raccolse altre more e fragole, le premette tra le mani e ne cosparse il rosso succo sul petto, sembrava sangue, il sangue che Arianna aveva versato per amore, stette li in contemplazione alcuni minuti,
poi scolpì sul tronco del sicomoro queste parole,

“che mai il sangue innocente vada versato,
chi porta pene, mali pene avrà”
Arianna.
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