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Pubblicata il 17/09/2011
Il mulo di Alicudi

Il basto vuoto lenta la lunga fune al palo
che legato a quello ti trattiene assorto
ti riposi in quella d’indefinito tempo
attesa che altri ne faranno lor misura
per quel cammin riprender poi duro pesante
che lassù alle pendici alte e lontane porta
del vulcan di Alicudi antico, mulo paziente.
Non si cura il dolce languido sguardo tuo,
come un giorno lontan un tuo parente pigro
asino bigio per il treno, di quelle potenti
al molo lì presenti navi di tecnica simbolo
di progresso che il pelago sicure posson sì solcare
ma non fender certo come tu sai fare queste
ossidianiche laviche bianco pomice dure ostiche
pietraie, non immergersi pure e senza tema nella distesa
di rosmarini cardi pungenti fichi d’india agavi
in fiore o più gentil gialle ginestre eriche rossicce
assenzi bianchi capperi smeraldini fiori di ligustro
che il sentier tuo sfiorano lì su ingannevoli dirupi
e tanti rendendo forse più lieve coi colori ed i profumi
il tuo cammino di passi fermi fatto e da attento occhio.
Non per macchine non per moto asfaltate strade
vi sono a deturpar a violare la vergin natura di Alicudi
qui per la gente del luogo qui per il consorzio umano
un unico motor sei tutto qui muove tu mezzo di trasporto
solo, unico aiuto che la vita qui non muoia ma ancor
viva sia: ecco uliveti verdi prosperose vigne larghe di capperi
distese ben curate fichi carrubi e non confinata bella
isola eoliana a gechi neri lucertole verdastre ratti
pipistrelli e ghiri o regno solo di saltellanti capre.
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