Sembra che il mare canti all’infinito;
il flutto scorre a reclamare
figure d’impronte,
depreda i miei confini.
Odo colloqui di fantasmi d’acqua,
risciacqua avanzi di tempo
la sua trasparenza,
e insiste la vagabonda presenza del passato.
Avverto smania di profondo,
volontà di dominio.
Ma il vaneggiar m’è breve,
il raziocinio blocca la mente;
affiora dai flutti la memoria di vite,
figure sconosciute, forme indefinite
bottino di tempeste, esca di morte.
Stringo il deserto in pugno.
Piego il ginocchio alla preghiera
e calo un velo sul mio occhio spento.