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Pubblicata il 29/08/2009
l’Isonzo

Finito di lavorare alle sette di sera, avevo ancora qualche ora di luce per i miei divertimenti, quel giorno d’accordo con l’amico Giorgio dovevamo vederci in riva all’Isonzo località “carbonella”, per sfidare le correnti del fiume, avevamo deciso di attraversarlo a nuoto..
Il posto lungo il fiume era chiamato “carbonella”, con il nero del carbone non centra per niente, la terra era “rossa mattone” veniva trasportata con dei carrelli fuori della fonderia Safog e scaricata alla confluenza del fiume Corno.
Le molte persone che rovistavano sotto il rosso mattone, non erano altro che cercatori di ferro, erano scarti della fonderia, ricuperati e messi nelle scatole grosse di latta veniva venduto alla Ditta Scnabell di Via Faiti.
Le poche lire che riuscivano a racimolare, servivano per vivere.
La giornata era trascorsa con gran caldo ed afa, per fare la traversata del Fiume era il momento giusto, l’acqua del fiume era stata mitigata da un sole certamente estivo, preso la bicicletta che serviva alla Ditta di mio padre, di gran carriera mi buttai giù per la Via Leopardi, vi Brigata Casale via Monte Cucco per arrivare alla” passerella di legno”, il glorioso ponte costruito durante la prima guerra mondiale.
Questo ponte durante le piene autunnali oscilla con gran veemenza e noi ragazzi lo attraversavamo per vedere, quanto eravamo coraggiosi.
Contavamo i secondi “a voce” (l’orologio da polso? chi era molto fortunato lo riceveva per la cresima) più tempo si restava al centro del ponte e più la stima degli amici cresceva, c’era un ragazzo molto robusto e ben piantato nel fisico, mi sembra si chiamasse “cibula”, ai miei tempi tutti avevano un sopranome, tra i vari nomi che ricordo sono: pesce, perché aveva le gambe ricoperte di squame; Beethoven suonava la chitarra; poi c’era il cughi, il monko, e tanti altri ancora che non ricordo.
Arrivato al centro del ponte scavalcava la balaustra e con l’aiuto delle braccia si portava dove il traliccio oscillava con più forza, alzando le braccia restava in presa solo con le gambe, era una grande“teppa”.
Torniamo a noi, nell’attesa che arrivasse l’amico Giorgio sistemai la bicicletta e man mano che mi spogliavo dai vestiti sudati li appoggiavo sul ciclo per farli asciugare, Giorgio nel frattempo era arrivato, si cambiò e indossò lì slip e disse: “ Claudio o la va o la spacca “, e si buttò in acqua ed io dietro a lui.
In quel punto il fiume era largo circa cento metri, il fondale era blu per la sua profondità, la corrente era forte ma non troppo pericolosa, i vortici che si potevano formare in qualsiasi momento facevano un po’ di paura, ma non per noi che eravamo abituati al fiume e all’acqua fredda, la traversata procedeva bene a grandi bracciate, la corrente ci spingeva sempre più a valle verso i grandi fondali dove era facile la formazione di vortici, eravamo nel bel mezzo del fiume, quando ad un tratto sentii Giorgio che mi chiamava con la flebile voce che poteva, non molta, “son cagà…. go un crampo allo stomaco, non posso respirar “, mi avvicinai a lui più che potevo e li dissi di appoggiarsi sulla mia spalla e di guardare avanti,la sponda!
La ghiaia della riva sembrava molto lontana, più nuotavamo e più sembrava irraggiungibile, non parlavamo per la forte tensione e nuotando lentamente, ogni tanto ci guardavamo negli occhi per capire la situazione, non occorreva parlare, gli sguardi attenti ci rassicuravano, ci lasciavamo trasportare dalla corrente verso valle guadagnando poco verso l’altra sponda, ma lentamente senza spendere le forze più del necessario, con molta tenacia e fatica raggiungemmo la riva.
Arrivati stremati più per la tensione emotiva che fisica ci distendiamo sul greto del fiume, dopo qualche attimo di riflessione e di respiro, gli chiesi:
“ ma perché invece de dir son cagà non te ga sigà aiuto?”
“ Perché me vergognavo... “ostia”.
Devo dire per onore del vero che il ritorno alla sponda opposta io l’avrei fatta per la passerella di legno, ma Giorgio si oppose con forza dicendo “ gavevo dito o la va o spacca? Allora andemo”, ci rigettammo in acqua e tutto andò per il verso giusto.
Le prove di coraggio si moltiplicavano in questi frangenti dell’estate, il conosciuto Sergio Vuga per le sue performans come atleta (ottimo sciatore),si tuffava nel canale di deviazione che portava l’acqua alla centrale elettrica, si immergeva nuotando fino sul fondo del canale e quando raggiungeva lo sfogo dell’acqua, si faceva risucchiare dalla corrente e passando sotto la feritoia si faceva sparare fuori del getto impetuoso dell’acqua, finiva la sua corsa con un tuffo nella pozza profonda scavata dalla forza dell’acqua.
Era un gesto molto applaudito e coraggioso, non ricordo nessuno che l’abbia imitato.

Avevamo portato il sandolino (si fa per dire) sotto la grande diga per pescare, era fatto di tavoloni molto grossi e pesava come una portaerei, l'acqua che scolmava dalla diga cadeva con forza e ribollendo facendo un rumore assordante, ma poi si acchetava formando un grande lago dove noi cercavamo di pescare.
L'acqua del lago defluiva da due parti, una era la piccola corrente dalla quale avevamo risalita spingendo la barca, l'altra era la corrente principale che defluiva con molta forza.
Pescavamo e la barca sembrava ferma lontana dalla grande corrente, ma io non era per niente tranquillo e con un occhio traguardavo i punti di riferimento che mi ero preso, dissi: “ mi sembra che stiamo andando verso la grande corrente, attenzione”.
“Quando te son con mi te pol star tranquillo”. Non aveva neanche finito di dire che la b arca fu presa con molta forza dalla corrente e ci scaraventò giù dove l'acqua non scherza, la corrente era impetuosa e la velocità che avevamo preso non ci diede la possibilità di nessuna manovra, eravamo dominati dal fiume.
La barca al primo scoglio si impennò rovesciandoci in acqua, perdemmo la barca e tutta l'attrezzatura per la pesca, non ci restò che correre a casa ad asciugarci, ormai erano i primi giorni di Ottobre.
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Jul

La gioventù rende invulnerabili e non si avvertono i pericoli, ma anche comprendendo che certe imprese possono creare difficoltà le si esorcizzano con l'audacia dell'età. Questo racconto è coinvolgente ed estremo per l'ardire di voi ragazzi all'epoca e penso che non bisognerebbe mai dimenticare la propria gioventù per comprendere il bisogno che hanno i giovani di competizioni e coraggio (oggi molti di loro ricorrono a paradisi artificiali) sfide continue per sentirsi vivi e forti.
Grazie Claudio per il tuo ennesimo affascinante racconto.
Jul

il 30/08/2009 alle 16:01