PoeticHouse - Il Portale dei Poeti e della Poesia
Pubblicata il 17/06/2009
L’ospite viene accolto all’interno di una capanna accessoriata
e spogliato dei calzari.
Si dovrà camminare tanto, penso.
Terminato il bagno nella vasca romana,
il gruppetto dei cinque mi si stringe intorno, e dita
rapidissime mi lasciano lungo il corpo
impronte odorose di pesco e vaniglia.
Il più scavato e diligente di essi, di nome Qoph,
mi domanda se è mia intenzione
indossare i vecchi indumenti, o proseguire senza.
“Se non dispiace, per il momento preferisco tenerli.”
Escono tutti fra torsioni e saltelli, e mi lasciano da solo.
Degusto un banchetto a base di braciole di maiale,
pane secco e vino frizzantino.
Le coperte in mohair mi tengono quel caldo che serve,
anche se da queste parti la notte è un viavai di
lucciole e zecche.

Al mattino, in cinque mi conducono in portantina
salendo per un curvone di montagna stretto e dissestato.
Non riconosco fra essi nessuno degli individui
del giorno prima.
Questi sono rasati e misurano accuratamente i loro passi,
adagiandomi infine di fronte l’ingresso di un capannone
solido e largo.
Uno di essi suona il proprio campanaccio appeso al collo,
e gli altri immediatamente si assestano ai suoi lati,
a chiuderlo in una specie di quadrato.
“Il mio nome è Nun, e questo è il luogo dove trascorrerai
tre soli e tre lune. Al quarto sole riceverai una visita.”
Entro nel capannone e quel che noto mi sconcerta a dir poco;
il vasto interno è vuoto, le pareti di un bianco spento e le assi del pavimento scricchiolano di continuo.
Mi avvedo che c’è soltanto una cassapanca, con accanto un tappeto in mohair
simile a uno zerbino.
Sollevo il coperchio, e non potrò mai riportare a lettere il conseguente ribrezzo,
alla vista di quella faccia di porco con gli occhi spalancati e il grugno ancora umido,
di cui mi sembrava percepirne finanche il respiro. Non è tutto.
In un sacco di canapa stagnava una pila di farina sfatta,e dentro una sorta di vasetto cilindrico, delle vinacce vergini dall’odore nauseabondo.
Mi accascio con la schiena sulla cassapanca e piango in preda a una contrizione nervosa.
Alzandomi da tergo, come delle vampate alle tempie, certe parole scambiatesi
dai cinque che mi portarono in portantina, mi assalgono in pieno animo;
“Mangerà ciò che ha mangiato ieri, dormirà dove ha dormito ieri.”
Mi siedo rispettoso sullo zerbino in mohair e porto un pugno di farina alla bocca.

(continua...)
  • Attualmente 5/5 meriti.
5,0/5 meriti (1 voti)