Povera, non puoi capire come un cuore possa amare senza incertezza?
(dal Lohengrin di R.Wagner).
Depone le palpebre sul guanciale,
e stringe corde di capelli.
E’ tardi per incidere una foglia del centrotavola.
L’ago che addobba il merletto è il medesimo
che le fa sanguinare il dito.
“Così è lei, il suo mercoledì di svago.”
Aurora si mischia alla fragilità della notte,
alle goccioline che dalla balaustra
non sanno dove ricadere.
Mezzogiorno; il cerchio della latitanza compie
il suo giro.
La maga porta caffè e consolazione.
“Vedrai, che fine fa quello!”
Lo strascico degli abiti tolti dall’armadio,
la fanghiglia ancorata alle suole.
Distesa su un terrapieno, Aurora converte
i suoi gesti nei segnali di luce approssimantesi ;
il treno che devia oltre i binari.
Lui è una sagoma che non impietosisce.
Aurora lo sberleffa come una dama settecentesca
che affida al suo sussiego il miele aspro
di pensieri non maturati.
“Me ne vado, caro, mi aspettano, grazie di tutto!”
Ma quando si è già lontani, scampati
all’impazzante rovescio di un temporale,
in un rivo frondoso dove sarebbe possibile mimetizzarsi,
dove un gufo conteggia i nostri sospiri,
non prende forse alito il vento dei saraceni?
Aurora e quell’ultimo rubino nel suo sguardo saccheggiato,
il fortilizio dell’animo abbattuto, muscoli e vertebre obbligati
a negare una movenza più sciolta.
L’accolita depredante conquista qualsiasi avamposto;
anche la mente, lanternino usurato,
volge luce alla mano sferzante di una rabbiosa conquistatrice;
“ Consegnaci quei mosaici e quelle pale!”
“No, loro no”.
“Ti opponi ancora, Aurora?”
“Non mi oppongo;ma essi non sono merci, come lo sono le lacrime oggi investite
e i sorrisi che domani riconquisterò.
Sono ricordi soltanto di me e di lui, sussulti scaturiti insieme,
che da altre parti non troverò”.